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Cinquemila migranti al mese lasciano l’Eritrea, una cicatrice sulla coscienza del mondo

di Cristina Amoroso

Quanti migranti ha accolto l’Italia nel tempo! A quelli che lasciavano i loro Paesi per le carestie perenni come il Sud Sudan, l’Etiopia, la Repubblica Centrafricana si sono aggiunti in gran numero i rifugiati dalle guerre in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, anche se ci sono molti che fuggono da guerre di bassa intensità come in Mali o in Somalia.

Ma è un piccolo Paese con meno di sette milioni di abitanti che sta generando il 12 per cento di coloro che cercano un posto in Europa: l’Eritrea. Perché tutti scappano dall’Eritrea?

Centinaia di migliaia di eritrei intraprendono un pericoloso viaggio verso nord attraverso il Sudan e la Libia o in Egitto e Israele, il loro obiettivo da raggiungere alla fine destinazioni più sicure in Europa. Si stima che circa 5mila persone lasciano il piccolo Paese del Corno d’Africa ogni mese, in fuga dal regime repressivo gestito dal presidente Isaias Afewerki.

L’agenzia dell’Onu per i rifugiati, l’Unhcr, riferisce di avere a che fare con 357,406 rifugiati eritrei e che lo scorso anno, gli eritrei sono stai 34mila, il secondo gruppo dopo i siriani che arrivano in Italia via mare. Ci sono più di 100mila profughi eritrei in Sudan, e un numero simile in Etiopia, un numero imprecisato in Israele.

Non meno di 50 eritrei calciatori nazionali sono fuggiti dal 2010, più di recente, nel dicembre 2013, nove giocatori sono scomparsi insieme con il loro allenatore in Kenya. Ai primi di ottobre 2012, due piloti dell’aeronautica sono fuggiti con l’aereo presidenziale in Arabia Saudita. Da notare anche la defezione dell’ex ministro dell’informazione, Ali Abdu, durante un viaggio in Germania. Lo riferisce il quotidiano The Guardian in un’inchiesta di fine agosto sulla crisi delle migrazioni.

Sono anni che gli Eritrei lasciano il Paese per sfuggire alla repressione, ma i rifugiati recenti riferiscono che vogliono sfuggire da una campagna di reclutamento intensificato nel servizio militare obbligatorio e indefinito.

Un rapporto recente della commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui diritti umani in Eritrea, ha dichiarato: “Di fronte ad una situazione apparentemente senza speranza si sentono impotenti di cambiare, centinaia di migliaia di eritrei fuggono il loro Paese. In preda alla disperazione, ricorrono a vie di fuga mortali attraverso deserti e Paesi dilaniati dalla guerra vicini e per mari pericolosi in cerca di salvezza. Rischiano la cattura, la tortura e la morte per mano dei trafficanti di esseri umani senza scrupoli”.

Certo l’Eritrea si trova al 177mo posto rispetto agli indici di sviluppo, che è uno dei più arretrati del mondo ed è tra le prime posizioni nella mancanza di libertà di espressione.

Come è potuto accadere che il piccolo Paese emerso nel 1991, pieno di speranza per un luminoso futuro libero, da una guerra di trent’anni combattuta da un popolo di sei milioni di abitanti, in lotta contro un Paese vicino di 70 milioni di abitanti, l’Etiopia, è noto oggi come “La Corea del Nord del Corno d’Africa” da cui fuggono a migliaia?

I rifugiati parlano della loro patria come di una “prigione a cielo aperto”, in un clima politico paranoico in cui il governo non permette le elezioni, in cui la tortura è di routine, e tutti i media, al di là dei giornali di Stato, sono sanzionati e la Tv spazzata via.

In risposta all’aggravarsi della crisi, nel mese di giugno le Nazioni Unite hanno pubblicato la prima indagine completa sul Paese, raccogliendo le testimonianze di 550 migranti. Sono state riferite “violazioni sistematiche, diffuse e gravi dei diritti umani che sono stati e vengono commessi”.

Il rapporto si basa unicamente su delle testimonianze di rifugiati, dato che il governo eritreo ha rifiutato l’accesso alla commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite. Un rapporto costituito a partire da sole testimonianze di richiedenti l’asilo non può essere affidabile. In effetti, per ottenere lo statuto di rifugiato politico, alcuni non esitano a mentire sulla propria nazionalità e a raccontare quello che il paese di accoglienza vuole sentire. Tra i  rifugiati eritrei, abbiamo così degli etiopi che si fanno passare per quello che non sono pur di ottenere il diritto all’asilo.

D’altra parte l’Eritrea si porta dietro un pesante contenzioso con le Nazioni Unite.

Il Paese è stato colonizzato dagli italiani. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la sconfitta di Mussolini, l’Eritrea avrebbe dovuto ricevere l’indipendenza, ma è stata annessa all’Etiopia contro la sua volontà. Il vecchio Segretario di Stato Usa, John Foster Dulles, dichiarò all’epoca: “Dal punto di vista della giustizia, le opinioni del popolo eritreo devono essere prese in considerazione. Ciononostante, gli interessi strategici degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso, e le considerazioni per la sicurezza e la pace nel mondo, rendono necessario che questo Paese venga attaccato al nostro alleato, l’Etiopia”.

Questa decisione ha avuto delle conseguenze catastrofiche per gli eritrei. Sono stati letteralmente colonizzati dall’Etiopia e hanno dovuto portare avanti una lotta terribile durata trent’anni, per ottenere la propria indipendenza. Lotta che per questioni di confine è nuovamente scoppiata nel 1998 causando 19mila morti all’Eritrea.

Certo il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini e le donne dai 17 anni in poi, a tempo indeterminato. Nessuno può avere un passaporto prima dei 60 anni per questo motivo. Si vive al di sotto della soglia di povertà. Chi lavora, gli impiegati statali, i professori, i militari, guadagna circa 10 euro al mese.

La situazione è peggiorata dal 2009, da quando l’Onu ha imposto delle sanzioni economiche all’Eritrea accusata di armare il terrorismo in Somalia. Si è aggravata nel 2011, in seguito ad una grave crisi alimentare per la quale l’Eritrea ha rifiutato gli aiuti internazionali, peraltro rifiutati da sempre dal presidente Afwerki, convinto che  “Cinquant’anni e miliardi di dollari d’aiuti internazionali postcoloniali hanno fatto molto poco per far uscire l’Africa dalla povertà cronica. Le società africane sono diventate delle società di zoppi. L’Eritrea deve camminare da sola”.

Il popolo eritreo è sfibrato dalle guerre e affamato nel loro Paese; affidato ai trafficanti di schiavi appena uscito dal paese, violentato e torturato nel Sinai, arbitrariamente detenuto in Israele che cerca di disfarsene, e annegato nel Mediterraneo.

Certo che l’Eritrea rimane una cicatrice sulle coscienze del mondo.

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