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Cina: sulla corruzione si gioca la partita decisiva

di Salvo Ardizzone

Ancora una volta parliamo della Cina; non è simpatia e tanto meno vicinanza alle dinamiche di qual Paese enorme, tutt’altro, ma il realistico riconoscimento dell’importanza che, piaccia o no, ciò che accade lì ha per il resto del mondo e anche per noi. E laggiù è in corso una partita esiziale per il potere, e per quello che sarà la Cina di domani.

Da tempo il Presidente Xi Jinping gioca una partita rischiosa: con la motivazione di ripulire il Paese dalla corruzione, intende consolidare il proprio potere personale e riplasmare le politiche del Dragone. Le due cose sono unite strettamente; il regime dei vecchi “mandarini” è da molto tempo degenerato in corruzione, cresciuta a livelli incredibili di pari passo con il crescere dell’economia; ora, se si vuole andare avanti su nuove strade, è imperativo metter fine all’andazzo, ma per far questo occorre dare un colpo mortale alle vecchie cricche di potere e a ciò che hanno rappresentato da sempre nella società cinese. E le resistenze dell’apparato sono enormi.

In queste settimane si sono aperti due processi clamorosi; i giornali ne parlano apertamente citando intrecci fra il potere politico e attività criminali. Il primo ha al centro Gu Gunshan, era un generale, vice capo dei servizi logistici; in Cina l’Esercito non è una semplice forza militare, è una potentissima istituzione che controlla e muove tantissimi interessi, e Gu aveva fatto della propria posizione una miniera. Per intenderci, solo per portar via dalla sua immensa residenza, costruita a somiglianza dell’antica Città Proibita con tanto di statua d’oro di Mao all’ingresso, i lingotti d’oro e le bottiglie pregiate della cantina, son stati necessari due Tir e venti uomini.

L’altro vede alla sbarra Liu Han, un plurimiliardario delle miniere, con al soldo un autentico esercito personale per eliminare i concorrenti.

Sono uomini che appartenevano alla cerchia del vero del potere, ma sono nulla dinanzi al terzo processo che si prepara e che segnerà la battaglia decisiva contro il vecchio regime. Riguarda un uomo che la stampa governativa non è neppure autorizzata a nominare; i particolari, quelli che sono trapelati dalla stampa di Hong Kong (territorio ancora ad amministrazione speciale) e, oltre che dalla stampa internazionale, dall’Agenzia Reuters, rivelano un affare gigantesco. Si tratta di Zhou Yongkang, è un nome che a noi non dice nulla, ma è il cuore stesso del potere cinese: fino a marzo era il capo dei servizi di sicurezza e membro del Comitato permanente del Politburo. Da ottobre non se ne sa nulla, pare agli arresti domiciliari con la moglie; fra il suo sterminato sistema di potere ci sono stati almeno 300 arresti, figlio e altri familiari compresi (in Cina la famiglia è sempre coinvolta in ogni maneggio), i quattro segretari particolari e i capi delle industrie petrolifere (lì potentissime, perché danno linfa a un Dragone sempre più assetato d’energia). Inoltre, sono state sequestrate ville immense, oro, titoli e altro per più di 10 mld di € di valore. Ed è solo l’inizio.

Le notizie non sono ancora ufficiali perché Xi Jinping non ha ancora vinto le resistenze della vecchia guardia, traumatizzata dal dover mettere alla sbarra un membro permanente del Politburo. Ma in un gioco sottile (la Cina è questa) le notizie cominciano ad essere filtrate alla stampa, che è stata autorizzata ad annunciare l’arresto del figlio di Zhou e i suoi rapporti con Liu Han, il miliardario assassino. È un accerchiamento progressivo.

Come detto, le resistenze sono ancora forti; Jiang Zemin (ex leader fino al 2003) e Hu Jintao, predecessore di Xi, si sono detti contrari a puntare così in alto, rischiando di destabilizzare il Paese. È il vecchio sistema di potere che vuole preservare equilibri antichi (diremmo eterni), terrorizzata da cambiamenti repentini che metterebbero troppo in gioco.

Ma Xi vuole andare avanti, consapevole che molto deve cambiare perché la Cina divenga ciò che ambisce ad essere: una vera potenza globale. Certo, il rischio, e grande, c’è a scoperchiare la pentola d’un Paese immenso che scopre dinamiche sconosciute, ma è più grande quello di tener chiuso il coperchio col rischio di un’enorme deflagrazione che, badate, per come stanno le cose, coinvolgerebbe il mondo intero.

Quando, e se, il nome di Zhou Yongkang potrà essere messo ai quattro venti come un corrotto, sapremo che Xi Jinping ha vinto. Per sapere che anche la Cina, e soprattutto quale Cina ha vinto, occorrerà aspettare ancora.

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