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Chi sono e a chi servono gli Al-Shabaab?

di Salvo Ardizzone

Son più di vent’anni che la Somalia è uno Stato fallito; per quasi quindici anni è stato preda di Signori della Guerra, che praticavano un saccheggio sistematico e mantenevano la più completa anarchia. Poi, nel 2005, sono venute le Corti Islamiche ed è stata la paura di uno Stato controllato da Al-Shabaab che ha mosso la comunità internazionale, con l’intervento di una missione militare regionale, finanziata da un Occidente che, memore dei disastri di Restore Hope, era disposto a mettere i soldi a patto che gli “scarponi sul campo” li mettessero gli altri Paesi africani.
Prima fu l’esercito etiope a intervenire, poi fu la volta dell’Unione Africana e, a poco a poco, le Corti vennero espulse da quasi tutto il Paese, ed ora sono confinate in un territorio fra Mogadiscio e Kisimayo, nel sud della Somalia, ridotte ormai a ben poco e sotto l’attacco di Amisom (la missione militare dell’Unione Africana che conta principalmente sui contingenti di Uganda e Kenia) alle loro ultime roccaforti sulla costa.

Malgrado quello che se ne dice in Europa, la loro pericolosità s’è immensamente ridotta da quando sono stati scacciati da Mogadiscio e Kisimayo; sono stati tagliati fuori dalle risorse economiche che venivano dai territori più ricchi e relegati in zone secondarie, solo grazie alla corruzione dell’Amministrazione Federale e alle indecisioni di Amisom, dovute ai contrasti d’interesse fra i Paesi della regione, Kenia in testa, sono riusciti ad installarsi lungo la costa, riprendendo in parte i loro traffici. Tuttavia, la scarsità di fondi ha fatto precipitare la consistenza e la pericolosità delle loro milizie, ora reclutate in gran parte fra i giovanissimi delle zone più povere.

Al-Shabaab, sotto la direzione di Ahmed Abdi “Godane” (alias Muktar Abu Zubair), s’è sempre distinta per la ferocia verso la popolazione, tanto da vedersi rifiutare da Bin Laden l’affiliazione ad al-Qaeda (affiliazione peraltro concessa dal suo successore al-Zawahiri, in disperata ricerca di proseliti per il suo network in crisi). La totale mancanza di seguito fra la popolazione e le ridotte capacità operative, hanno costretto il gruppo a rivedere le proprie strategie, puntando su uno stillicidio di attentati che, negli ultimi mesi, malgrado numerosi insuccessi dovuti all’incapacità degli attentatori, hanno comunque mietuto diverso sangue.

E allora: perché il Governo Federale, e soprattutto Amisom, non puntano ad un’azione risolutiva debellando le ultime roccaforti di Al-Shabaab? E qui entriamo nel nocciolo della questione: quel Paese fallito ha fatto comodo a tanti, soprattutto nella regione, perché l’assenza del controllo di un Governo centrale ha permesso di gestire a piacimento il territorio di quello Stato fallito: pesca illegale al largo delle pescosissime coste somale, esplorazioni minerarie (e parliamo anche di uranio), prospezioni petrolifere, traffici di droga, armi, medicinali e aiuti umanitari, traffici e interramento di sostanze tossiche e rifiuti industriali, pirateria e potremmo ancora continuare. Di tutto questo non si sono giovati e si giovano solo i vicini, che con l’intervento militare intendevano tutelare prerogative ormai consolidate da decenni, ma diversi ambienti del Governo Federale, che vedono nella normalizzazione una minaccia a molti traffici lucrosi.

Chi è implicato più degli altri è proprio il Kenia, che è intervenuto per bloccare sconfinamenti dei fondamentalisti ed evitare che montasse troppo l’ondata di profughi, ma che, ultimamente, s’è mostrato “tiepido”, lasciando all’Uganda il peso maggiore delle operazioni, nella consapevolezza che se il problema Al-Shabaab viene risolto del tutto, gli toccherà definire troppi dossier col Governo Federale, a cominciare dai diritti di pesca e dallo sfruttamento petrolifero dell’Oceano Indiano.
Ma anche Al-Shabaab lo ha compreso, e ha deciso di portare lo scontro sulla costa del Kenia, dove il ritorno mediatico è enorme, infinitamente maggiore che nelle boscaglie o nella scalcinata Mogadiscio, come è accaduto nel giugno scorso a Mpeketoni. Allo stesso modo, uno stillicidio di attentati che sta minando il turismo, l’industria più importante del Paese, sta già portando l’opinione pubblica a dire basta all’intervento in Somalia; se questo accade, depotenziando Amisom, la stabilizzazione definitiva di quel Paese attenderà per anni. Esattamente quello che si augura il Governo di Nairobi, per tirare alle lunghe la definizione dei contenziosi sul tavolo.

Nel frattempo, il Kenia, con la scusa di temere infiltrazioni di fondamentalisti, usa la massa dei rifugiati somali come ostaggio, minacciando di espellerli in blocco, ed esegue retate di massa, come a Nairobi, nel quartiere Eastleigh, con 4mila arresti e la chiusura delle moschee. Come sempre, giustizia e diritto restano fuori da queste faccende.

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