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C’è ancora chi si illude che l’Onu sia al servizio della pace e della sicurezza?

di Cristina Amoroso

Fin dalle elementari a scuola abbiamo imparato a conoscere la Carta delle Nazioni Unite e i diritti contemplati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La Carta bandisce l’uso della forza in violazione della sovranità degli Stati, mentre la Dichiarazione garantisce i diritti degli individui contro gli Stati che li opprimono.
Qualche maestro solerte, nella speranza di non rivivere più gli orrori della guerra, avrà forse fatto imparare a memoria agli alunni i diritti contemplati nella Dichiarazione e i principi che l’Organizzazione delle Nazioni Unite si prefiggeva, quali mantenere la pace e la sicurezza internazionale, promuovere la soluzione di controversie internazionali e risolvere pacificamente le situazioni che potrebbero portare ad una rottura della pace.

I 51 Stati presenti nella prima Assemblea generale a Londra, il 10 gennaio 1946, erano davvero convinti che l’Onu avrebbe rispettato i principi e gli scopi prefissati, onorando i diritti umani ? Quegli alunni ingenui, che conoscevano a memoria alcuni principi, di sicuro si illudevano e credevano nello spirito umanitario che permeava l’organizzazione.
Oggi sono diventati 193 i membri dell’Onu, più altri due soggetti, la Città del Vaticano e la Palestina, presenti con lo status di Osservatori Permanenti, ma oggi è anche svanita l’illusione che l’ Onu sia al servizio della pace e della sicurezza, se dalla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi ci sono stati circa 275 conflitti armati in più di 160 sedi in tutto il mondo.

Certo anche il Patto Briand-Kellog, del 1928 (noto come il Trattato generale sulla rinuncia alla guerra come strumento di politica nazionale) che dichiarava illegale la guerra, era stato aggirato tranquillamente con un espediente, entrato poi a far parte della sostanza della Carta dell’Onu: gli “interventi umanitari”.
Oggi sappiamo a che cosa portarono quegli interventi umanitari, i maggiori dei quali furono l’aggressione giapponese contro la Manciuria, l’invasione dell’Etiopia per ordine di Mussolini e l’occupazione di alcune zone della Cecoslovacchia da parte delle truppe di Hitler.

Azioni di guerra accompagnate da un’edificante retorica umanitaria: il Giappone doveva difendere la popolazione della Manciuria da “banditi cinesi”; Mussolini doveva liberare migliaia di schiavi e condurre la sua “missione di civiltà”; quanto a Hitler doveva “salvaguardare le individualità nazionali dei popoli tedesco e ceco”!
Lo stesso “alibi umanitario”, condito di retorica, è stato usato negli interventi Usa-Nato-Onu in Kosovo, in Afghanistan, nella Prima e Seconda Guerra nel Golfo, in Libia, Iraq e Siria.
Non solo. Ci si chiede poi: come è possibile che l’Onu non sia riuscita a imporre una risoluzione a questioni controverse quali il conflitto palestinese, pur condannando azioni commesse da Israele contro i palestinesi nei suoi 68 anni di esistenza?

Secondo Chomsky, il punto di partenza è la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 1967, votata dopo la Guerra dei Sei Giorni. Proposta da Egitto, Siria e Giordania la risoluzione che sanciva la fine degli insediamenti e degli allargamenti delle colonie israeliane, venne respinta per il veto posto dagli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti sono “colpevoli” di essersi schierati dalla parte di Israele “dal punto di vista militare, economico, diplomatico, ideologico e mediatico”. Un’alleanza di ferro che fa dire a Chomsky che “per vent’anni gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per separare Gaza dalla Cisgiordania. In questo modo quale autonomia possono mai avere questi territori?” – si chiede il professore.
Gli Usa rappresentano un ostacolo alla pace in Medio Oriente, ponendo il veto su ogni risoluzione Onu a vantaggio dei palestinesi, continuando ad essere lontani dal voler risolvere il problema. Di fronte a questo, l’azione della comunità internazionale resta fondamentale, ma non risolutiva.

In relazione agli sforzi fatti dalle Nazioni Unite, spesso criticate per la scarsa incisività nella risoluzione dei conflitti mondiali, illuminante è un recente articolo di Wayne Madsen, “Piano di Stati Uniti ed Israele per dominare l’Onu”, per capire il meccanismo perverso che consente ai due Paesi di dominare l’organismo internazionale.
“Anche se le Nazioni Unite – afferma il giornalista – a volte hanno valutato la politica israeliana con l’ostilità che veramente merita sulla scena internazionale, le Nazioni Unite, sotto il Segretario Generale Ban Ki-moon, hanno usato una manovra istituzionale e burocratica per assicurare che gli interessi palestinesi siano sempre secondi a quelli di Israele”.
Ecco perché gli Stati Uniti con Israele si sono opposti a nuovi Stati membri delle Nazioni Unite al fine di mantenere al minimo il numero di Paesi che sostengono la Palestina e che si oppongono agli Stati Uniti e alle politiche israeliane, garantendo che nessun membro, per loro problematico, aderisca all’Onu con la minaccia di cessare aiuti americani a Paesi come l’Abkhazia, l’Ossezia del Sud, la Somalia e il Sahara Occidentale.

Le Nazioni Unite dovrebbero dimostrare di essere indipendenti al punto da ammettere nell’Organizzazione come membri a pieno titolo la Palestina e la Santa Sede, la Repubblica del Monte Athos al fine di rappresentare gli interessi del cristianesimo ortodosso e una serie di governi in esilio, come il Biafra, la Repubblica Araba democratica Saharawi, il Papua occidentale, Cabinda, la Repubblica Serba di Krajina, lo Yemen del sud, Lakota Nazione Sioux, il governo del Regno delle Hawaii ed altri.

Attualmente, l’Onu, dominata da predoni, rappresenta solo gli interessi particolari delle imprese multinazionali e di alcuni movimenti di pressione come quelli legati a svariate organizzazioni non governative di Israele e George Soros, come Human Rights Watch, Amnesty International e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.
L’unico modo per le Nazioni Unite di acquistare credibilità e rispetto sta nello scavarsi fuori dallo stivale repressivo di Washington e dei suoi co-cospiratori di Gerusalemme e aprire le porte ad altri membri, al fine di rappresentare realmente i popoli del mondo.

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