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Caso Regeni: dopo la sceneggiata cala il sipario e riprendono i rapporti Italia-Egitto

di Salvatore Ardizzone

A quattro mesi dalla morte di Giulio Regeni nulla si sa della sua barbara fine e in Egitto le brutalità e le violazioni dei più elementari diritti continuano come sempre; nel frattempo, passata l’ondata d’indignazione, le aziende italiane ricominciano ad investire in quel Paese. Business as usual.

Da quel 25 gennaio, quando il ricercatore italiano sparì per andare incontro alla sua sorte, fra depistaggi, ambiguità e menzogne evidenti, le indagini sono rimaste a un punto morto dove con tutta probabilità rimarranno malgrado le sceneggiate del Governo italiano.

Dal canto suo, il regime di Al-Sisi continua imperterrito a perseguitare, reprimere, far sparire e uccidere nella maniera più sfacciata e bestiale dinanzi ad una comunità internazionale indifferente, anche quando ad essere colpita è la stampa: solo qualche giorno fa, Remy Pigaglio, un noto giornalista francese, è stato arrestato, trattenuto per trenta ore e rispedito in Francia senza uno straccio di spiegazione.

Intanto, attenuatasi la tempesta mediatica, i rapporti di collaborazione economica con l’Italia, congelati per la circostanza, stanno riprendendo: il Ministro egiziano del Commercio e dell’Industria, Tariq Qabil, ha annunciato con forte enfasi la notizia che il gruppo Bertazzoni costruirà una fabbrica nel Paese, sottolineando che l’investimento “riflette il forte legame tra l’Egitto e l’Italia in campo economico”; l’Ad dell’azienda ha detto che l’Egitto è uno dei mercati più promettenti e che può divenire la piattaforma per esportare in Africa e in altre parti del Medio Oriente.

È proprio questo il punto, che era già chiaro al momento del deflagrare della vicenda Regeni: a tutt’oggi, l’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto in Europa; solo l’Eni ha nel Paese 14 miliardi d’investimenti e ci sono altre 130 aziende italiane che fanno affari, ma basterebbe citare solo Zohr, il megagiacimento di gas dinanzi alle coste egiziane (scoperto proprio dall’Eni), destinato ad assicurare l’autosufficienza energetica al Cairo e, in parte, anche a Roma, a spiegare la situazione.

Se a questo si aggiunge il ruolo determinante di Al-Sisi nella delicatissima vicenda libica (è il protettore del generale Haftar e, attraverso lui, intende mettere le mani sulle colossali risorse energetiche della Cirenaica), dove l’Italia ha interessi enormi, si spiega tutta la riluttanza dell’intera comunità internazionale, e dell’Italia in particolare, a trattare il regime egiziano per quello che è, e che spinge tutti a voltarsi dall’altra parte dinanzi alla sua brutalità sanguinaria. Business as usual.

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