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Carceri private Usa tra business e corruzione

Dal 1990 ad oggi il numero delle persone detenute nelle carceri private degli Stati Uniti è aumentato del 2000 per cento e non è un caso: più alto è il numero dei detenuti e maggiori sono gli introiti. In dieci anni le prigioni private negli Stati Uniti sono arrivate ad essere oltre cento. Secondo l’organizzazione California Prison Focus «nessuna altra società nella storia umana ha imprigionato un così alto numero di suoi cittadini».

Questo business non dà segni di crisi: le società private di detenzione statunitensi hanno visto aumentare i loro profitti da 760 a 5.100 milioni di dollari. Questo, molto spesso, anche grazie ai rapporti clientelari tra deputati e funzionari governativi con chi gestisce le strutture private.

Frank Smith, attivista statunitense che lotta da 20 anni contro la privatizzazione delle carceri negli Usa, spiega che «i lobbisti lavorano per convincere i funzionari governativi a modificare una legge in favore della corporazione che rappresentano, o per fare in modo che non cambino quelle già favorevoli. Spesso, – continua Smith – raccolgono fondi per sostenere quei candidati e politici in carica che mirano a influenzare. E non è raro che in passato abbiano lavorato per quelle organizzazioni o partiti politici sulle quali hanno poi fatto lobbying».

Ma almeno, viene da domandarci, la gestione privata fa risparmiare le casse statali americane? Frank Smith sottolinea un altro fattore interessante: «I detenuti molto malati o pericolosi sono collocati nelle strutture pubbliche, in modo che i costi più alti della carcerazione non ricadano sul settore privato».

Carceri come aziende

Uno studio del Progressive Labor Party segnala che i «contratti privati per il lavoro dei carcerati sono un incentivo per imprigionare sempre più gente». Perché «le prigioni dipendono da questo reddito». Gli azionisti corporativi fanno i soldi grazie al lavoro dei carcerati e «fanno lobbing a favore di pene più lunghe, per espandere la loro mano d’opera. Così il sistema si autoalimenta».

A tutto questo segue una logica aziendale ben precisa: le prigioni private sono quotate in borsa. «Questa industria multimilionaria quotata in borsa – continua lo studio del Progressive Labor Party – ha le proprie reti commerciali, convention, siti web e punti vendita su internet».

Il mercato statunitense delle carceri private, come riporta un articolo uscito su The Post Internazionale, «è dominato interamente dalla Correction Corporation of America e dalla Geo Group, che ha acquistato le concorrenti Correctional Services Corporation e Cornell Companies rispettivamente nel 2005 e nel 2010». Indiscussa regina di questo settore, la Geo Group è stata fondata nel 1954 da George Wackenhut, un ex funzionario dell’Fbi, e possiede carceri negli Stati Uniti, in Australia, nel Regno Unito e in Sud Africa. «Uno dei suoi principali accessi al mondo della politica è rappresentato da Stacia Hylton, contemporaneamente membro del Dipartimento di Giustizia federale e capo di un’agenzia che da lungo tempo stipula contratti con la Geo Group».

Anche i più giovani non sono sottratti a questo enorme business: negli istituti di pena giovanili privati, infatti, vengono spediti centinaia di adolescenti. «Molte volte – dichiarano gli attivisti – finiscono in galera per piccoli reati, talvolta grazie alla corruzione di giudici compiacenti che si prestano a condannarne in massa».

di Redazione

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