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Brexit, “Piano B” di Theresa May tra ostacoli e nodi irrisolti

Il primo ministro Theresa May torna alla Camera dei Comuni lunedì prossimo con il suo cosiddetto “Piano B” per la Brexit, nemmeno una settimana dopo che il suo primo accordo sulla Brexit ha subito una sconfitta storica in Parlamento, con 432 voti contrari, a fronte di 202 a favore. Quello stesso Parlamento che esattamente 24 ore dopo ha invece rinnovato la “fiducia” alla May con  325 voti contro 306.

Theresa-MayMai si era vista una cosa del genere, mai un primo ministro battuto in quel modo aveva preteso di restare ugualmente in sella. Mercoledì scorso, dopo essere sopravvissuta al voto di sfiducia, la May ha avuto solo pochi giorni per trovare una soluzione migliore che non è stata scoperta in più di due anni di tentativi di trovarne uno. Il piano B deve placare sia i Brexiteers, sia i gruppi europeisti nel suo partito e in Parlamento. E a nessuno – forse inclusa la stessa May – è del tutto chiaro su quale sarà il piano B o su cosa succederà dopo. Se nessun accordo viene fatto e concordato da tutte le parti prima del 29 marzo, il Regno Unito sperimenterà una Brexit “senza accordo”, “no deal”, altrimenti detto hard Brexit – uno scenario potenzialmente catastrofico in cui il Paese semplicemente precipita fuori dall’Ue senza regole o salvaguardie. I funzionari di Bruxelles, dal canto loro, hanno dichiarato che non permetteranno modifiche sostanziali all’accordo raggiunto con il gabinetto di Theresa May.

A cosa si riduce il Piano B

Il piano B di Theresa May in realtà non esiste, anche se il Primo Ministro ha promesso un approccio più “flessibile, aperto e inclusivo”, sperando di incassare la maggioranza dei voti alla Camera a fine mese o più probabilmente a febbraio. Per questo continuerà i colloqui con gli esponenti dei diversi schieramenti, si vedrà anche con le leadership di Irlanda del Nord e Galles. Dopo i colloqui, con in mano i risultati degli incontri a Londra, andrà a Bruxelles per ottenere modifiche al backstop, il meccanismo di garanzia atto a mantenere le frontiere irlandesi aperte, ampiamente criticato dagli hard Brexiter e da unionisti irlandesi, escludendo categoricamente  la riapertura dell’accordo del Venerdì Santo del 1998. Ha riferito al Parlamento che aveva bisogno di scoprire cosa volevano cambiare i deputati sul backstop.

May esclude un secondo referendum

Theresa May ha anche escluso un secondo referendum, che danneggerebbe la coesione sociale, e il rinvio dell’uscita del 29 marzo con la proroga dell’art 50. La premier ha però confermato che è stata revocata la tassa di £ 65 per la registrazione dei cittadini Ue immigrati in Gran Bretagna.

Il leader laburista Jeremy Corbyn ha risposto alla dichiarazione del premier dichiarando che i suoi tentativi di colloqui interpartitici sono stati una “farsa” – aggiungendo che May ha negato la gravità della sconfitta del suo accordo Brexit in Parlamento la settimana precedente. Nell’incertezza delle prossime mosse, quello che pare ormai sicuro è che si allontana la data per il prossimo voto cruciale del Parlamento britannico. Un portavoce di Downing Street ha definito “improbabile” un verdetto finale a Westminster prima di febbraio e ha indicato come “non decisivo” – transitorio – quello previsto al termine dal dibatto della Camera in coda al prossimo statement della premier già in calendario per il 29 gennaio.

Intanto aumenta la tensione a Derry

Ad aumentare la tensione negli ultimi giorni si sono aggiunti i fatti di Derry. Un boato nella sera di sabato ha fatto ritornare l’Irlanda del Nord nell’incubo della lotta armata. Un’autobomba è esplosa all’esterno del tribunale di Derry nei pressi di Bishop street, città dell’Ulster. La polizia ha arrestato due persone puntando l’indice contro la “New Ira”, erede scissionista della vecchia guerriglia repubblicana. Non si fa riferimento a legami diretti con il caso Brexit, caos che però sussiste nelle tensioni tra unionisti e indipendentisti di Belfast sul cosiddetto backstop, punto nodale del Piano B.

di Cristina Amoroso

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