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Brasile: il grande bluff della sicurezza a Rio

di Salvo Ardizzone

Rio de Janeiro è una città dove povertà e ricchezza, degrado assoluto e lusso ostentato si succedono in poco spazio; ognuno dei quartieri in cui è divisa attira e insieme espelle gli ultimi, i diseredati, relegandoli ai suoi margini nelle comunità, così sono definite quelle che noi conosciamo come favelas; attorno ai quartieri di Rio, anche quelli più ricchi della zona a Sud, se ne contano complessivamente 1.076, dove vivono in circa un 1,5 ml (il circa è d’obbligo viste le condizioni), un quarto della popolazione complessiva. Al loro interno, legalità, diritti, controlli dello Stato sono assenti, sostituiti da quelli delle organizzazioni criminali dei trafficanti di droga che lì sono l’unica legge; tutto, a partire dall’economia, è illegale o comunque fuori d’ogni regola, e di servizi, anche i più essenziali, neanche a parlarne.

In quei luoghi, in cui lo Stato ha preferito scordare anche i suoi doveri primari, la  gestione della sicurezza ha oscillato fra totale inazione e violenza bruta, esercitata nel corso di occasionali interventi di facciata, effettuati dalla polizia tanto per dimostrare la propria esistenza; dopo qualche sparatoria e qualche arresto, condito il più delle volte da violenza gratuita, tutto ritorna come sempre. L’attenzione è concentrata unicamente sulla tutela della popolazione ricca, essenzialmente nella zona Sud della città; una politica inefficace, intrisa di brutalità ottusa, che ha favorito la crescita esponenziale di criminalità e violenza testimoniata da migliaia di morti.

Fu durante il primo mandato di Sergio Cabral, Governatore dello Stato di Rio de Janeiro, che si cercò d’inventare qualcosa di diverso: le Upp, Unitade de Policia Pacificadora, ideate da José Beltrame, Segretario alla Sicurezza Pubblica. L’idea era quella di occupare militarmente una favelas alla volta, assumerne il controllo e successivamente mantenerlo con personale addestrato ad agire in modo assai diverso dagli abituali comportamenti della polizia (per intenderci, comportamenti improntati alla brutalità ed alla più smaccata corruzione, mutuati ancora da quelli tenuti ai tempi della dittatura).

Nel dicembre del 2008 è partita la prima di queste operazioni (oggi sono 38 ed entro il dicembre 2014 saranno 40 le Upp per il controllo di 130 comunità); nella pratica la favela viene circondata (sarebbe meglio dire assediata, visto che l’operazione può durare mesi e mesi) da forze dell’esercito e da reparti speciali della polizia (in genere il famigerato Bope, Battaglione di Operazioni Speciali), quindi rastrellata ripetutamente per ripulirla da trafficanti e ricercati; quando il controllo del territorio è assicurato, s’insedia l’Upp vera e propria che mantiene il controllo. A questo punto i criminali preferiscono migrare (peggiorando, come dimostrato, la situazione di altre comunità), gli scontri fra bande praticamente cessano e lo spaccio di droga da manifesto diviene nascosto.

Ma a parte la riduzione della violenza (almeno fino alla fine del 2012, come vedremo, le cose ora son cambiate), i benefici si fermano praticamente lì: le fogne restano a cielo aperto, l’immondizia marcisce per le strade come sempre e così via; in compenso arrivano i servizi a pagamento, o meglio, vengono regolarizzati: acqua, luce, gas, linee telefoniche  e tutto il resto, che prima o non c’erano o venivano regolarmente rubati, vengono somministrati tramite allacciamenti e contatori; si aprono centri commerciali e i negozi che c’erano prima o entrano nella sfera della legalità o vengono chiusi. È tutta un’economia che emerge con tutto ciò che segue: clienti per le società di servizi e commerciali, tasse per uno Stato che però di servizi suoi non ne fornisce.

Inoltre, l’annessione di quel territorio alla municipalità genera un fenomeno immediato: l’aumento verticale del valore delle case e delle aree su cui poter costruire (nei quartieri, soprattutto quelli più ricchi a Sud, è da tempo impossibile trovarne); una manna per i grandi proprietari che, regolarmente, s’accaparrano a prezzi stracciati vaste porzioni delle favelas prima che la Upp entri in azione, per vedersi il valore dell’investimento moltiplicato in poco tempo. Ma sono anche gli affitti a schizzare al cielo, presto troppo alti per la povera gente del luogo, costretta a trasferirsi in altre comunità, spesso lasciando il posto a turisti disposti a pagar salato il fascino dell’ambiente esotico e marginale.

C’è ancora altro che, a guardar bene le statistiche, fa pensare sul modo in cui è svolto l’intervento: se è vero che gli omicidi e gli scontri a fuoco calano drasticamente, la microcriminalità esplode; il motivo è semplice: lo Stato non assicura nessun servizio sociale, nessun sussidio, nulla, e la piccola manovalanza criminale (un’ampia fetta di quella popolazione), che campava facendo servizi ai trafficanti, si procura i soldi in altro modo.

Comunque sia, è un fatto che la scelta dei siti per gli interventi ha avuto un’unica logica: riconquistare le favelas vicine ai quartieri più ricchi del Sud e quelle del Nord che sarebbero state interessate dalle manifestazioni del Mondiale: business per dare aree alla speculazione immobiliare nelle zone più ambite e ipocrisia sfacciata nello spazzare sotto il tappeto un aspetto scomodo della realtà brasiliana dinanzi ai turisti del Mondiale.

Ad ogni modo, se fino alla fine del 2012 l’operazione pareva aver successo, da allora le cose son peggiorate drasticamente: gli omicidi del solo primo trimestre del 2014 superano quelli dell’intero 2012, perché? È accaduto che i capi delle organizzazioni criminali, inizialmente presi alla sprovvista, hanno deciso di contrattaccare per dimostrare alla popolazione delle comunità che da un canto la polizia non ha il controllo del territorio, dall’altro che, nella sostanza, non è cambiato nulla nel comportamento delle forze dell’ordine, spezzando così i legami di fiducia che in qualche modo stavano sorgendo. Infatti, con l’ansia di risultati in vista della vetrina dei Mondiali (e la pressione di troppi speculatori), si sono intraprese troppe operazioni di “pacificazione” senza aver formato sufficiente personale adatto. S’è ricorso ai vecchi agenti e ai metodi di sempre, col risultato di far sfuggire di mano la situazione: ancora violenze gratuite, soprusi, sparizioni di “sospetti”, corruzione; sotto gli scarponi di Esercito e Bope, è svanito lo spirito che aveva motivato le Upp.

E ha fatto sviluppare qualcos’altro, le milizie: gruppi organizzati da appartenenti alle forze di sicurezza al fine di mantenere la vigilanza nelle comunità, per impedire il ritorno delle organizzazioni criminali; se all’inizio si trattava di garantire la sicurezza, presto hanno imposto a cittadini e commercianti una “tassa” per la protezione, trasformandosi in un racket. È un fenomeno sempre più vasto, e nelle condizioni attuali minaccia seriamente di ridurre le Upp a una milizia ufficiale.

Organizzazioni criminali di trafficanti, milizie, corruzione sempre più diffusa, polizia inefficiente e collusa con la criminalità e una violenza che accomuna tutto e tutti: questo è il micidiale impasto che schiaccia le favelas dietro i paraventi scintillanti voluti da uno stato inetto quanto corrotto, per nascondere i propri fallimenti.

Mondiali di calcio, le Olimpiadi nel 2016, ambizioni di grandezza internazionale: piuttosto che perdersi dietro a questi sogni che suonano grotteschi dinanzi alla realtà, la classe dirigente brasiliana avrebbe tanto, forse troppo da fare per il suo Popolo, soprattutto per la vasta parte di esso che ha cinicamente abbandonato.

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