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Brasile: chi c’è dietro le “improvvise” manifestazioni?

di Mauro Indelicato

Disoccupazione quasi azzerata, crescita economica a doppia cifra, diminuzione del 35% della povertà in dieci anni; dati del genere, ci porterebbero a considerare uno Stato del genere in grande stabilità sociale ed economica, con importanti prospettive davanti a sé.
Invece, lo Stato in questione, è quel Brasile che oggi è in piazza in tutte le principali città; un Paese, quello sudamericano, cuore pulsante non solo del Sudamerica ma anche dell’intero sistema del Brics, il quale da qui ai prossimi tre anni sarà perennemente sotto i riflettori internazionali per via di tutti i principali eventi sportivi che ospiterà e che suggelleranno il nuovo ruolo di potenza regionale agli occhi del globo.
Eppure la gente è in piazza; quella stessa gente che oggi può permettersi, al contrario di dieci anni fa, le cure mediche e l’istruzione gratuita, protesta contro uno dei governi che ancora dà grande importanza alla spesa sociale ed al welfare state.

Una contraddizione palese, che fa emergere più di un sospetto rispetto a ciò che si nasconde dietro i manifestanti che giornalmente riempiono piazze e strade delle principali città brasiliane.
Sospetti che possono essere confermati da una serie di elementi; il primo, è che queste proteste accadono proprio nel momento in cui il Brasile inizia ad ospitare la prima di una lunga serie di eventi: la Confederation Cup è un banco di prova in attesa dei mondiali del prossimo anno, far fare brutta figura al Paese ospitante, è un buon viatico per la delegittimazione internazionale.
E sul piano internazionale, il Brasile non si distingue certo per posizione “affini” all’Occidente ed agli Usa in particolare, come hanno dimostrato le recenti esternazioni del presidente Dilma Roussef sulla questione siriana, appoggiando Bashar al Assad.
Altro elemento non indifferente: il governo brasiliano ha avviato da qualche anno una lotta senza quartiere al narcotraffico ed ai vari boss che controllano diverse favelas nelle varie metropoli del Paese; da mesi, in molti quartieri in cui vige la legge dei narcos lo Stato si è fatto vivo anche con i mezzi blindati e con tanti arresti che hanno spesso dato duri colpi alla criminalità. Dunque, non è un’impresa impossibile per chiunque voglia destabilizzare il Paese soffiare sulla polveriera delle favelas di Rio o di San Paolo ed aizzare i numerosi abitanti contro il governo federale; non a caso, a differenza di piazza Taksim, nelle città brasiliane si sono verificati borseggi, saccheggi ed atti di vandalismo anche verso turisti, segno di come tra i dimostranti non sono in pochi gli infiltrati che partecipano alle manifestazioni con l’unico scopo di creare tensioni e scontri.

Poi, da valutare anche la tipologia delle richieste dei manifestanti; i media occidentali, puntano il dito sugli esborsi miliardari per costruire i nuovi stadi in vista del mondiale del 2014 e della Confederation Cup di questi giorni, mostrando le rivendicazioni di chi chiede che i soldi siano spesi per il welfare.
Però, proprio in merito, bisogna valutare diversi elementi: l’attuare presidenza di Dilma Roussef, si è caratterizzata per essere quella che, nella storia del Paese, sta spendendo maggiormente per il welfare e per le politiche sociali, dunque non si comprende, in tal senso, cosa rivendichino i manifestanti. Inoltre, il Brasile non ha ottenuto da poco tempo l’assegnazione di mondiali ed Olimpiadi, perché quindi non iniziare a manifestare l’insofferenza per le spese per i nuovi stadi nel momento dell’ufficializzazione della candidatura (come accaduto di recente per Roma 2020, di fatto ritirata per gli enormi costi), invece che iniziare giusto adesso che gli impianti sono stati costruiti ed il mondo intero incomincia a puntare i riflettori sul Paese con l’inizio della Confederation?

Che in Brasile ci siano ancora numerosi problemi, è sicuramente un dato di fatto; ma l’attuale presidenza Rousseff e quella del predecessore Lula, hanno intrapreso importanti politiche sociali, arrivando a risultati inimmaginabili fino ad un decennio fa.
Di certo, la vecchia nomenclatura, quelle scaglie di potere finanziario ed economico che dominava in lungo ed in largo il più grande Paese del Sudamerica, non hanno mai smesso di rinunciare ai privilegi; numerose trasformazioni di “gattopardiana” memoria, passaggi di campo a suon di tangenti ed appalti, hanno fatto resistere molti “mostri” dell’economia brasiliana in posizioni di vertice, ma parte di tale nomenclatura, su pressioni straniere, potrebbe aver agito agitando quegli strati delle favelas che in comune con i guru dell’economia del Paese hanno “soltanto” il comune nemico del governo attualmente in carica.

Destabilizzare il Brasile in questo momento conviene a tanti, sia a livello internazionale che interno; a livello internazionale, una cattiva figura del paese verdeoro nella gestione di scontri proprio nel momento di maggior risonanza mediatica, delegittimerebbe una delle potenze nascenti ed in grado, fra qualche anno, di poter dare scossoni nelle gerarchie dell’attuale sistema. A livello interno invece, creare pressione su un presidente fino a poco tempo fa ai massimi gradimenti popolari, potrebbe servire a frenare politiche economiche malviste da certi personaggi dell’economia.
In poche parole, è difficile dare credibilità ad una protesta in un Paese in crescita e con una povertà sempre minore; è possibile invece ipotizzare una “manita” esterna che ha aizzato alcuni nemici del governo di Brasilia, al fine di dar pressione a Dilma Roussef, facendo rischiare una non indifferente brutta figura internazionale durante una delle manifestazioni sportive più attese e sentite.

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