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Bolivia: Si riapre la questione del “Corridoio Bioceanico”

di Enrico Marchi

In Bolivia è ancora tempo di polemica! Oggetto della discussione è ancora una volta la realizzazione del corridoio stradale concepito per collegare il Pacifico all’Atlantico passando per il territorio boliviano  dove si trova il parco naturale Isiboro Sécure (Tipnis), un “paradiso” di fauna e flora di oltre un milione di ettari.

L’opera in esame che dovrebbe collegare Villa Tunari, località del dipartimento centrale di Cochabamba, a San Ignacio de Moxos, nel dipartimento settentrionale di Beni e i cui costi si aggirano attorno ai 415 milioni di dollari (332 dei quali finanziati con credito brasiliano), dovrebbe essere realizzato da una compagnia di costruzione brasiliana. La realizzazione di questa strada si inserisce, com’è evidente, in un più strategico progetto sovranazionale, il quale si pone elevate ambizioni sia di carattere geopolitico che di sviluppo economico per l’intera regione sud americana, dal momento che è destinato a connettere il Pacifico all’Atlantico attraverso un’arteria di 300Km (ilcosiddetto “Corridoio Bioceanico” che congiunge il porto brasiliano di Santos a quello cileno di Iquique).

Tuttavia il progetto continua ad incontrare forti resistenze da parte dei popoli nativi: Yuracaré, Chimán e Trinitaria (15.000 persone circa) ai quali si sono aggregati altri movimenti di protesta. Già le massicce mobilitazioni indigene sfociate in violenti disordini li avevano portati, nel luglio scorso, ad un accordo con l’esecutivo per risolvere la questione attraverso una consultazione referendaria. Il referendum, (con la supervisione dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) e dell’Organizzazione degli Stati americani(OSA), si concludeva con l’approvazione della costruzione dell’opera da parte dell’82% delle comunità locali – in totale 55 – a condizione che la sua realizzazione avvenisse  in modo ecologico e con un impatto ambientale minimo. Un “no” secco sarebbe, quindi, stato espresso solo da tre comunità indigene della riserva secondo cui l’opera, ove costruita, cagionerebbe danni irreversibili all’ambiente. L’opera, infatti, potrebbe essere strumentale allo sfruttamento delle immense riserve idriche (dalla cordigliera di Mosetenes, che attraversa il Paese da nord-ovest a sud-est, nascono tantissimi fiumi, tra i quali il Secure la cui acqua scorre verso nord-est in direzione del Rio Mamoré) e petrolifere presenti nell’area, il ché provocherebbe forti scompensi all’ambiente circostante.  Altro problema che pongono le popolazioni dei territori è legato alla contesa con i  “cocaleros”, questi ultimi, accusati a più riprese di aver invaso illegalmente i territori dei nativi per seminare foglia di coca, sarebbero senz’altro agevolati nel loro insediamento dalla costruzione dal corridoio stradale. Alcuni analisti, andando un po’ oltre, hanno ipotizzato che essendo la coca prodotta in Bolivia già sufficiente per il consumo interno (pratica diffusa e ancestrale è masticarla per motivi sia culturali che alimentari), ulteriori piantagioni potrebbero trasformarsi in eccedenze e avere come destinazione finale l’utilizzo illegale, consistente nella produzione e nel conseguente traffico di cocaina. Così, la nuova arteria stradale fungerebbe, a parer loro, da ottimo crocevia per immettere la droga nel mercato internazionale degli stupefacenti.

Il governo, invece, oltre a vedere nel corridoio bioceanico una preziosa opportunità di crescita  per l’economia nazionale e per l’integrazione e lo sviluppo  regionale, percepisce l’opera come strategicamente rilevante dal punto di vista geopolitico poiché agevolerebbe l’interscambio con il Pacifico, area in cui risiedono i principali partner commerciali dell’America Latina e su cui si disputeranno le sfide geopolitiche del futuro.

In questi giorni la questione si è nuovamente riaperta a seguito di quanto accertato da una commissione di verifica indipendente formatasi per controllare il corretto svolgimento della consultazione referendaria. La commissione, infatti, avrebbe rilevato da parte del governo alcune irregolarità commesse al fine di ottenere un risultato positivo. Tra queste: la consultazione referendaria non è stata “preventiva” (per come stabilito, tra l’altro, dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo/Oil) ma postuma per come dimostra il fatto che il contratto di appalto dei lavori fosse stato sottoscritto già due anni prima con l’azienda brasiliana Oas;  né “libera”, per come dimostrano segnalazioni su episodi di coercizione e mancato rispetto degli usi e costumi delle popolazioni locali; né, infine, “informata”, poiché è mancata una politica di informazione precisa e dettagliata alle popolazioni sull’impatto ambientale della strada.

Certamente la matassa non è semplice da sbrogliare. Sicuramente sembra difficile ipotizzare che il governo boliviano abbia gestito la questione in modo superficiale per come suggerirebbero le presunte irregolarità denunciate proprio in questi giorni dalla commissione di verifica. Morales,  anch’egli indio di etnia Aymara, ha sempre posto al centro della sua azione l’attenzione per le questioni indigene e per la “madre terra” facendo del “buen vivir” una sua bandiera politica. A tal proposito si pensi che il documento economico più rilevante della fase di rinnovamento propugnata da Morales è stato proprio il “Piano nazionale di Sviluppo Bolivia Degna, Sovrana, Produttiva e Democratica per vivere bene che ha predisposto la costituzione di una struttura che vada oltre la sterile accumulazione economica e si realizzi, essenzialmente, nella libertà culturale e nel rispetto dell’eterogeneità sociale.

Conclusivamente, di fronte la polemica degli ultimi giorni che pensavamo ormai sopita, verrebbe da porsi  una domanda: non è che per caso a soffiare sul fuoco della rivolta siano ancora una volta le solite elite di Santa Cruz esponenti della vecchia oligarchia boliviana, che non hanno mai smesso di ostacolare la rivoluzione bolivariana?

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