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Bertone lascia: quali nuovi scenari per il Vaticano?

di Mauro Indelicato

La notizia non è ancora confermata, probabilmente non avrà mai il crisma dell’ufficialità, ma di sicuro testimonia che qualcosa di importante in Vaticano sta succedendo; stando a quanto riportato da diversi blog e dal quotidiano “Libero”, il cardinale Tarcisio Bertone si sarebbe dimesso da Segretario di Stato, ossia dalla seconda carica più importante dopo quella del Pontefice.

La segreteria di Stato, lo ricordiamo, è una sorta di presidenza del consiglio vaticana e chi la guida può considerarsi a capo dell’esecutivo che guida la Curia e quindi l’amministrazione della Santa Sede.

Nel 2006, Papa Benedetto XVI aveva piazzato a capo della segreteria Tarcisio Bertone, come successore di Angelo Sodano; Bertone era uomo di fiducia di Ratzinger, visto che era stato segretario per diversi anni della Congregazione per la Dottrina delle Fede, guidata proprio dal Papa emerito sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, dal 1983 fino alla sua elezione al soglio pontificio.

Ma giunto alla Segreteria di Stato, qualcosa non ha funzionato; la gestione di Bertone si è rivelata fallimentare da un punto di vista diplomatico, da un lato, ma anche da un punto di vista della gestione degli affari interni della Chiesa, visto che nelle ultime congregazioni molti cardinali hanno puntato il dito contro il porporato.

A tutto questo, bisogna aggiungere i tanti scandali che hanno coinvolto negli ultimi anni la Santa Sede, da Vatileaks ai conti non certo limpidi dello Ior; scandali che, spesso hanno visto coinvolta la segreteria di stato la quale, nella migliore delle ipotesi, si è resa colpevole di una quantomeno discutibile gestione delle varie tematiche.

“Bertone è il peccato originale del pontificato di Ratzinger” commentavano autorevoli vaticanisti all’indomani delle dimissioni di Benedetto XVI; ha rappresentato, per la Chiesa, un danno di immagine non indifferente, sia per l’incompetenza dimostrata e sia per un modo di concepire il governo della Santa Sede tutt’altro che mistico e religioso.

Se davvero dunque le dimissioni sono confermate, a differenza dei toni scandalistici e sorpresi della stampa tradizionale, bisogna sottolineare invece come esse siano la diretta conseguenza di un radicale cambiamento di rotta del governo vaticano; del resto, Benedetto XVI ha lasciato il pontificato quando ha capito che la “barca di San Pietro” rischiava di non reggere più alle tante onde alzate nel mare vaticano e soprattutto quando non ha potuto fare altro che prendere atto di come su molte di queste onde c’era il soffio del cardinal Bertone, suo, ripetiamolo, ex uomo di fiducia. Dunque, Ratzinger si è trovato di fronte a due strade: o azzerava motu proprio la curia, sconfessando quindi 7 anni di pontificato, oppure percorrere la via delle dimissioni per dare alla Chiesa il tempo di riflettere ed al suo successore un dossier aggiornato e completo sui rapporti in merito gli scandali di Vatileaks.

Delle due, come sappiamo, Benedetto XVI ha scelto la seconda strada; nelle congregazioni generali antecedenti il Conclave, si è formato un vero e proprio partito “antiromano”, del tutto lontano dalla Curia. Basti pensare, per esempio, agli applausi ricevuti dal cardinale brasiliano Braz de Aviz quando ha attaccato apertamente Bertone sulla gestione dello Ior e sulle scelte inopinate fatte dalla Segreteria di Stato da lui guidata.

Sulla scia di questo ampio dibattito e sull’elezione al soglio pontificio di un Cardinale molto lontano da Roma, come Bergoglio, oggi la Chiesa vive, all’interno del suo governo, questi ampi scossoni che però possono essere percepiti in chiave estremamente positiva, nel segno di una discontinuità con i porporati curiali.

Uno dei primi atti di Papa Francesco, è stato infatti proprio quello di nominare una commissione guidata da un altro cardinale sudamericano antiromano, l’honduregno Maradiaga, per redigere una bozza di riforma della curia. La commissione entrerà a lavoro ad ottobre, ma i suoi membri hanno chiesto la testa di Tarcisio Bertone prima di dare il via alla stagione delle riforme, come reale e tangibile segno di discontinuità.

Sul significato della valenza di un allontanamento di Bertone, bisogna fare una profonda riflessione: per norma vaticana, se l’età limite per aver diritto all’accesso in Conclave è quella di 80 anni, per gli incarichi in curia invece scende a 78. Bertone ha 77 anni, quindi in ogni caso fra pochi mesi sarebbe stato costretto per ragioni anagrafiche a lasciare la segreteria: ma, come ben si sa, all’interno della Chiesa ogni dettaglio ha un valore simbolico di per sé molto significativo ed importante. Quindi, un cosa è che Tarcisio Bertone lasci per naturale corso della propria età, dopo quindi aver regolarmente terminato il proprio mandato, altra invece è che lasci anticipatamente e che venga costretto ad un “pensionamento” forzato.

Un Bertone dimesso, darebbe il via libera ad una profonda azione riformatrice dentro la Curia e, più in generale, nella concezione stessa di governo della Santa Sede.

Ma la Chiesa, dopo le turbolenze degli ultimi mesi prima del conclave, non si può permettere altre notizie degne di clamore mediatico che escano dai palazzi apostolici; così, almeno da quanto si apprende da diverse fonti, Papa Francesco stia pensando ad una strategia interna molto dura, con una delegittimazione de facto di Bertone, quasi mai al fianco di Bergoglio in questi primi due mesi di pontificato e spesso messo ai margini delle cerimonie pubbliche, ma ad una soft per ciò che concerne i rapporti con l’esterno e con i media.

Dunque, il Santo Padre starebbe pensando di non ufficializzare per il momento le dimissioni, di attendere qualche settimana in modo da annunciarle come un normale avvicendamento interno alla Curia.

Ma nella sostanza comunque, una defenestrazione di Bertone, ufficiale o ufficiosa che sia, è una boccata d’ossigeno per chi crede in un cambiamento di rotta nelle alte sfere vaticane ed in un nuovo corso all’interno dei palazzi apostolici.

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