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Bambini siriani, dagli orrori della guerra all’indegno sfruttamento nelle fabbriche turche

Il colosso svedese dell’abbigliamento H&M ha ammesso che in Turchia bambini siriani sono impiegati nelle fabbriche di un suo fornitore, così come accade per il marchio Next. Le due aziende sono le uniche ad aver certificato pubblicamente l’uso di minori rifugiati, ma secondo la Ong Bhrrc (Business and Human Rights Resource Centre) lo scandalo riguarderebbe decine di brand.

Dossier preoccupanti sottolineano paghe da fame, lavoro minorile e abusi sessuali per i rifugiati siriani che lavorano senza permesso. Esiste un rischio reale che questi abusi accadano negli stabilimenti che lavorano per le catene di abbigliamento in Europa. “Circa 250-400mila profughi siriani lavorano illegalmente in Turchia, vulnerabili allo sfruttamento”, denunciano i curatori del rapporto di Bhrrc. La Turchia è il terzo fornitore di abbigliamento in Europa, dopo la Cina e il Bangladesh.

I fornitori turchi producono anche per marchi di diverse fasce. Primark e C&A hanno ammesso di aver identificato siriani adulti tra i lavoratori dei loro fornitori. Adidas, Burberry, Nike e Puma hanno dichiarato di non aver nessun siriano tra i lavoratori delle proprie catene di produzione. Stessa risposta data da Arcadia group, che detiene i brand Topshop, Dorothy Perkins e Burton Menswear.

Il report ha sottolineato che pochi brand stanno prendendo le misure adeguate per garantire che i rifugiati “non stiano scappando da un conflitto” per cadere “in condizioni di sfruttamento lavorativo”.

Dei 28 grandi marchi interrogati dalla Ong per le condizioni nelle fabbriche dei loro fornitori in Turchia e il potenziale sfruttamento dei bambini siriani senza documenti e degli adulti, solo H&M e Next hanno ammesso di avere trovare bambini che lavorano nelle fabbriche turche, rivelando di avervi identificato minori nel corso del 2015 e di aver preso le dovute contromisure, consentendo ai minori, di cui non è stata specificata l’età, di poter tornare a studiare e di aver dato un sostegno alle loro famiglie.

La Turchia è il Paese dove si trova il maggior numero di rifugiati siriani, più di 2,5 milioni, in fuga dal conflitto iniziato nel 2011. A metà gennaio, in seguito anche ai colloqui con l’Unione europea, la Turchia ha promesso di concedere il permesso ai profughi di lavorare: in questo modo sarà più difficile che cadano nel lavoro nero, sottopagato e dove il lavoro minorile è purtroppo la norma.

Frattanto continuano i morti in mare, nella traversata tra Turchia e Grecia, mentre il governo turco, in attesa dei tre miliardi concordati con Bruxelles per trattenere i rifugiati o “ridurne notevolmente il flusso”, avrà accolto con piacere le parole del Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, rivolto alla Plenaria di Strasburgo ieri mattina: “I tre miliardi a favore della Turchia devono essere messi a disposizione. Tutti dobbiamo rispettare i nostri impegni. Anche il governo italiano, nel frattempo, s’è detto disponibile. E’ un fatto positivo che riconosco. La Turchia ha circa tre milioni di profughi ed è quindi chiaro che i tre miliardi di sostegno per i rifugiati di Siria in Turchia devono essere erogati. Sono necessari e ci tengo a ringraziare gli Stati membri, e soprattutto l’Italia, che hanno dato prova di solidarietà. Dobbiamo aiutare i Paesi vicini alla Siria con solidarietà concreta […] questo non vale solo per la Turchia ma anche per Giordania e Libano, che hanno al momento la massima densità di profughi al mondo”.

di Cristina Amoroso

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