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Autismo: lo Stato Italiano col deficit cognitivo e il costo del diritto di crescere

La sentenza del tribunale civile di Roma del 9 ottobre 2018 ha occupato poco spazio sul web e pochi minuti nei telegiornali, ma sancisce un diritto che vale per tutti i cittadini e che continua, a distanza di mesi, ad essere ignorato. Il tribunale ha condannato l’Asl a farsi carico delle spese future necessarie a garantire 40 ore settimanali di terapia ABA per 48 mesi ad una bambina di 5 anni affetta da autismo.

Inizialmente, l’Asl aveva negato le terapie necessarie per mancanza di locali e di personale, costringendo i genitori a rivolgersi ad una struttura privata. Le spese sostenute per garantire alla figlia ciò che avrebbe dovuto garantire la sanità pubblica ammontano a circa 40mila € in soli tre anni, cifra che non verrà risarcita. Il giudice stabilisce che 48 mesi è il tempo giudicato necessario per “la cura”. E dopo? Tutto tornerà a carico dei genitori. Perché c’è un dopo del quale si occupano pochi studi scientifici e neanche le statistiche riescono a dare risposte sufficienti, mentre molta dell’attenzione di scienza, sanità e formazione resta concentrata sull’autismo nel periodo dell’infanzia.

C’è una linea di massima nell’identificare e differenziare la sindrome da spettro autistico da altri disturbi dello sviluppo in età pediatrica. L’ampiezza dello spettro è tale da non poter davvero parlare di autismo in maniera generica. Ogni caso è una vita a sé, con punti che possono coincidere, ed è sempre lo sguardo del genitore che sa vedere di più di quello del medico: potenzialità che meritano sempre di cercare e pretendere il massimo per il proprio figlio.

Autismo e terapie

Solo dopo la diagnosi si può cominciare a parlare di terapie, non proprio di cure. L’autismo non è un raffreddore, non si tratta di assumere una medicina con costanza per un limitato numero di giorni per poi guarire finalmente e del tutto. Si tratta di avere perseveranza, di stabilire un rapporto di fiducia e di rispetto, di attirare a sé e, di conseguenza, al mondo il bambino che non ha ancora tutti gli strumenti per venir fuori e comunicare. Si tratta di imparare, come per ogni bambino sulla faccia della terra, purché il metodo di insegnamento sia quello idoneo.

Un cerchio, uno spazio chiuso dentro al quale il bambino abita: basta un passo più in là, vicino al bordo, o più in qua, nel mezzo, e la diagnosi varia, può farsi più o meno severa, spesso, al variare della capacità più o meno marcata di comunicare e interagire, soprattutto attraverso il linguaggio. Perché comunicare è il grande ostacolo, anche quando dentro tutte le parole sono messe ben in ordine, in fila, pronte ad essere pronunciate. Sarà un continuo allenamento per non ritornare al centro esatto di quel cerchio stretto.

La disabilità fisica è intuitiva

La percezione del limite che ne consegue, così come la possibile risoluzione per l’integrazione, richiede minore sforzo da parte dell’altro. L’inclusione a scuola e nella società è un diritto. L’accoglienza, anche nella forma di una semplice pedana che permetta ad una sedia a rotelle di varcare la porta di un edificio o di attraversare la strada, è un diritto. Sembrano principi semplici. Ad elencarli, questi diritti, ci si sente persino banali, qualunquisti. Sulla carta, fra le ingarbugliate righe della legge, nelle normative, nelle carte dei diritti, tutto sembra così a portata di mano, giusto, pieno di attenzioni verso i cittadini, specie quelli più deboli. Poi, alzi lo sguardo dalle belle “carte” ben scritte e vedi la realtà. Perché in Italia, quello che manca di più, è la cultura dell’inclusione. D’altra parte, se in Italia esistesse una reale cultura dell’inclusione avremmo visto già da tempo introdotto nelle scuole l’insegnamento della lingua LIS per dare a tutti le conoscenze necessarie a comunicare con i bambini, i ragazzi e gli adulti sordi.

Ma il bambino autistico non è il bambino sordo, lui sente tutto, forse anche con più attenzione di quanto si creda. Il bambino autistico non è cieco, vede benissimo anche quando abbassa lo sguardo o lo rivolge altrove mentre gli stai parlando. E allora diventa più difficile, per chi non ha le conoscenze adeguate, sapere che non è un capriccio la sua distrazione, che non è maleducazione quando urla, che non è assente quando sembra finito chissà dove dietro due bellissimi grandi occhi.

Oggi, tutti i genitori di bambini con diagnosi di sindrome dello spettro autistico devono fare da sé: cercare, trovare, contattare e in fine pagare un centro privato per poter usufruire di una terapia che, per il momento, è riconosciuta come la più efficace, un metodo che con pazienza e costanza apre uno squarcio nel buio terrificante dentro al quale sempre più bambini e le loro famiglie precipitano. Il metodo ABA è come un vestito che va cucito sul bambino appositamente e da persone altamente qualificate; è un approccio che deve estendersi e prolungarsi dai tecnici terapisti ai genitori, agli insegnati a scuola e a tutti coloro che interagiscono col bambino. Più precoce sarà l’intervento, maggiori saranno i risultati. Questo è un diritto, al pari di una pedana per il passaggio della sedia a rotelle.

Famiglie costrette a rivolgersi ai centri privati

Per una famiglia che denuncia la totale inadeguatezza del servizio nazionale sanitario italiano, ce ne sono altre che non lo faranno, non pagheranno avvocati per la giustizia che certamente meritano, ma utilizzano tutte le proprie risorse economiche per le spese onerose necessarie a garantire terapie fondamentali ai propri figli. Sono guerrieri che hanno già una grande battaglia da combattere per vincere.

Rivolgersi ad un centro privato significa pagare dai 20 ai 25 € all’ora per le terapie. Ogni bambino, per avere il massimo beneficio dalle terapie, dovrebbe usufruire, a seconda dei casi, di un numero di ore che va da un minimo di 20 ore ad un massimo di 40 ore settimanali. Vale la pena fare due conti. Nella migliore delle ipotesi, pensiamo ad un bambino al quale siano sufficienti 20 ore di terapia settimanali al minor costo previsto: sono 1.600 € al mese, ai quali vanno sommati circa 300 € mensili per la supervisione prevista dal centro, ovvero un tecnico ABA che coordina l’operato dei terapisti che lavorano con il bambino. L’analisi delle competenze acquisite dal bambino è fondamentale, in quanto permette al tecnico di strutturare il nuovo programma da seguire per raggiungere nuovi obbiettivi. In un anno le spese ammontano a ben 22.800 €.

Chi non può spendere una cifra del genere, è costretto ad accontentarsi di quello che offre l’Asl locale che, nel caso in cui abbia personale e locali idonei, in media riesce a concedere intorno alle tre ore di terapia a settimana, durante le quali i bambini si trovano in una stanza con un terapista, mentre i genitori devono restare fuori e non possono assistere, di conseguenza, non possono neanche imparare né vigilare su quanto avviene dentro quelle quattro mura. Non è difficile immaginare l’angoscia di un genitore. Tutto ciò equivale a condannare un bambino all’oblio, privandolo della possibilità di crescere e migliorare. Diventa, così, una necessità cercare aiuto altrove.

L’autismo nelle scuole

Un bambino con sindrome autistica che inizia, come tutti, il suo percorso scolastico dalla scuola materna, potrebbe non trovare l’insegnante appositamente istruito, ma con tutta probabilità avrà un insegnante non abilitato al sostegno, detto “insegnante di posto comune” prestato al sostegno, privo quindi delle conoscenze necessarie per interagire col bambino e rendere possibile la sua inclusione nella classe. Un tappa buchi, in parole povere. Alcuni centri privati sono disponibili a istruire gli insegnati dei propri pazienti, purché, ancora una volta, i genitori si facciano carico delle spese per la formazione.

Questo può avvenire sempre a patto che il dirigente scolastico sia lungimirante e dia il suo consenso, cosa non sempre scontata. Ed ecco spillati altri 20 € l’ora per insegnare all’insegnante il lavoro che, forse, non aveva neanche intenzione di fare. Calcoliamo, nella migliore delle ipotesi, sei ore al mese di affiancamento di un tecnico con l’insegnante di sostegno per otto mesi: altri 960 € che, sommati al conteggio precedente, portano la spesa annua totale a 23.760 €.

Quei genitori che accetteranno di pagare anche la formazione del docente purché il figlio possa averne beneficio, sanno benissimo che usufruiranno delle conoscenze acquisite dall’insegnante grazie ai loro denari solo per poco tempo. All’iscrizione al successivo grado scolastico si ritroveranno un altro insegnante, senza alcun diritto di continuità col precedente, sperando che stavolta non sia un tappa buchi. Intanto hanno offerto, sulla propria pelle, un vero e proprio corso, completo di tirocinio, che sarà comunque utile per il bambino autistico che andrà in quella scuola materna negli anni successivi. Unico dato da sottrarre alle spese, è l’assegno mensile di accompagnamento che prevede una cifra non superiore o addirittura inferiore ai 400€ mensili. Soldi che si incassano e spariscono praticamente subito, appena sufficienti al pagamento di una sola settimana di terapia.

Una politica assente

Se in questa analisi dovessimo restringere il nostro campo visivo alle singole regioni italiane, si stringerebbe anche il cuore, vedremmo intere aree dell’Italia completamente abbandonate, dove prima di approdare al più vicino centro privato di terapia ABA bisogna percorrere chilometri e chilometri, lasciare casa per settimane, prendere permessi dal lavoro e trovare strutture ricettive economiche in cui soggiornare per il tempo necessario, tutto sempre e solo a proprie spese. Si perde il conto, a questo punto, e certamente anche la pazienza.

È la politica italiana ad avere il più grave deficit cognitivo che da decenni impedisce di rimodernare e migliorare il sistema sanitario nazionale e il mondo dell’istruzione. Non dovrebbe essere, infatti, un’utopia avere nelle scuole degli insegnanti di sostegno istruiti in maniera idonea e in attinenza al disturbo o alla disabilità dell’alunno che supporta.

Non dovrebbe essere una casualità la continuità dell’insegnante di sostegno per tutta la durata del ciclo scolastico dell’alunno. Invece prevale la logica dei numeri, dei punteggi, dei corsi a pagamento appositamente creati per aumentare solo il consenso politico, che fino a poco tempo fa hanno permesso agli insegnanti precari di entrare a lavorare nel mondo dell’istruzione come insegnanti di sostegno, aldilà che essi abbiano o meno predisposizione e reale interesse per un lavoro che richiede esperienza e conoscenze specifiche. Così come gli scandali di intrighi fra politica a livello regionale e strutture ospedaliere private rendono sempre più evidente come la salute venga considerata più un business, un incrocio di interessi e di scambi di favori.

È qui che abbiamo abitato fino ad oggi, sotto il tetto di un’Europa altrettanto presa da questioni economiche più interessanti, nell’Italia che evade i propri doveri, fa i propri affari, mentre chiama tutti a pagare le tasse, dicono, a garanzia dei propri diritti. Ma in fin dei conti, siamo tutti costretti a pagarli a parte e a caro prezzo, i nostri diritti.

di Anna Lisa Maugeri

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