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Augusta, tra interessi internazionali e svendita del territorio

Ci siamo già occupati del caso Augusta (Sicilia) diverse volte e continueremo a farlo, perché laggiù un intero territorio è stato svenduto insieme alle sue popolazioni. Quel quadro scellerato, che vede devastati mare, aria, suolo e sottosuolo compromessi insieme alla salute della gente, non deriva da logiche e dinamiche locali, motivi, insomma, che lì nascono e lì hanno spiegazione: no, in quella vicenda è presente l’intero armamentario, nulla escluso, che l’imperialismo impiega per asservire e sfruttare, ovunque le condizioni glielo permettano.

In tutti gli scempi perpetrati sulle spalle di popolazioni e regioni, da Bhopal a Seveso (gli esempi sono purtroppo infiniti e ci fermiamo solo a quelli), troveremo analogie nelle radici della situazione di Augusta e nei motivi che l’hanno determinata; lì troveremo insieme: strategicità di un territorio e dunque la sua appetibilità, debolezza e inconsistenza delle strutture politiche locali e connivenza in quelle più alte, mancanza d’un solido tessuto economico preesistente, che avrebbe permesso alla società di mantenere la propria aggregazione, un proprio modello di vita e resistere allo sfruttamento.

La zona di Augusta è stata individuata perché ritenuta strategica e conveniente, così  è divenuta oggetto degli scopi d’interessi terzi, al di là d’ogni convenienza o minimo rispetto per esso e per le sue popolazioni, con il fine ultimo del massimo utile da realizzare in ogni modo, in spregio totale della gente, dell’ambiente e del loro futuro. 

Limitarsi a vederne gli effetti mostruosi senza comprenderne le cause, impedisce di capire quale spaventoso crimine sia stato commesso e si continui a perpetrare impunemente, dove conduca inevitabilmente e a chi siano da addebitare le colpe vere di esso. Impedisce di comprendere appieno quale enorme ingiustizia sia stata permessa, con la piena acquiescenza di chi quelle popolazioni, quel territorio, “avrebbe” dovuto tutelare e s’è fatto invece docile complice.

I motivi che hanno permesso tutto questo sono almeno di quattro tipi: storici, politici, economici e sociali; trattarli per esteso tutti in un unico articolo sarebbe troppo lungo, qui ci limiteremo a quelli storico-politici, rinviando ad altro pezzo gli altri.

Nel lontano ’45, la logica spartitoria sancita a Yalta pose l’Europa Occidentale e l’intera area mediterranea nella sfera di dominio Usa; allora, e ancora per un decennio, c’era anche l’Inghilterra nel fronte di interessi che aveva vinto, e Londra, storicamente, il Mediterraneo lo considerava un lago proprio, grazie al controllo su Gibilterra, Malta, Cipro e Suez.

L’Italia si trovava proprio al centro di quell’area, inoltre scontava gli effetti, anche politici, della rovinosa sconfitta nella guerra sciagurata in cui s’era cacciata. Importanza strategica, divisioni delle strutture politiche emerse dalla tragedia (che si rifacevano all’uno o all’altro campo dei vincitori), pesanti responsabilità morali da farsi perdonare, economia distrutta: erano le condizioni ottimali perché la potenza egemone (gli Usa) esercitasse tutto il suo peso su uno Stato debole e l’asservisse, trovando un docile strumento in quella parte politica che, per mantenere il potere, guardava solo a Washington come unica stampella. E fu un asservimento politico, economico e militare che, in molti casi, divenne, e permane ancora, un’autentica cessione di sovranità.

A parte gli aspetti economici, assai rilevanti e che saranno oggetto di altro commento, Roma perse qualsiasi parvenza d’autonomia in politica estera e anche interna, limitandosi a recepire i “desiderata” d’oltre Atlantico e ad allinearsi. In campo militare, poi, pezzi del territorio nazionale furono passati nel sostanziale pieno possesso di Washington, attraverso trattati e una pletora d’allegati talmente opachi che a tutt’oggi, a distanza di sessant’anni, sono e rimangono secretati.

Tirare in ballo i vincoli dell’adesione alla Nato per giustificarli è una balla colossale, perché anche allora, quando il mondo era diviso in due e almeno formalmente una funzione l’aveva, l’adesione rinviava ad accordi fra i Paesi membri per quanto riguardava la concessione di basi, l’utilizzo delle stesse, il posizionamento di truppe alleate e d’armamenti sul territorio e soprattutto le finalità del loro impiego. In quei trattati c’era (e c’è) tutto il grado d’asservimento agli interessi dello Zio Sam che il Paese che li sottoscriveva esprimeva: nel caso dell’Italia massimo.

La Sicilia ha di suo una posizione assolutamente strategica nello scacchiere mediterraneo e il fatto che vincoli, legami e sudditanza derivino direttamente dagli interessi di Washington e non certo dalle esigenze ufficiali della Nato, è testimoniato chiaramente dal fatto che il massiccio potenziamento delle basi sull’Isola (Muos in testa, sistema di comunicazioni satellitari ad alta frequenza e banda stretta che mette in collegamento assetti militari in tempo reale, che non ha neppure la foglia di fico dell’Alleanza, perché è funzionale solo e soltanto al Pentagono) s’è incrementato di pari passo allo scemare dell’antica contrapposizione con Patto di Varsavia e al crescere dell’attenzione degli Usa per il Medio Oriente, il Mediterraneo, il Nord Africa ed il Sahel.

La presenza ad Augusta della migliore rada della Sicilia (e una delle migliori dell’intero Mare), unita alla vicinanza con una base come quella di Sigonella, e ora a un centro di straordinaria valenza come il Muos, testimonia l’interesse strategico per quel territorio da un canto, e la mano libera concessa da parte delle autorità italiane a tutti i livelli dall’altro, che hanno avallato senza la minima obiezione o richiesta di contropartita, tutte le installazioni, i potenziamenti e l’impianto di nuove infrastrutture a servizio di quelle esistenti.

Un intero territorio è stato militarizzato e in larga parte sottratto alla giurisdizione nazionale, con tutto quello che ne segue. Un unico esempio dei tanti valga per tutti: quando nel ’75 l’incrociatore Uss Belknap ebbe una collisione con la portaerei Kennedy, ci fu un incendio con diverse vittime che mise in pericolo l’unità. L’incidente venne secretato e solo nell’89 se ne ebbe notizia grazie a un dossier pubblicato da Greenpeace. Per tre giorni le autorità, anche italiane, oltre all’intera stampa, negarono furiosamente che il Belknap fosse entrato nel porto di Augusta e solo dopo che un ufficiale in pensione mostrò le foto dell’epoca fu ammesso; allora, l’incrociatore gravemente danneggiato fu riparato alla meno peggio al molo Nato, prima di tornare negli Usa, e le armi nucleari di cui era dotato vennero sbarcate lì e portate a Sigonella. Di tutto questo nulla si seppe.

In tempi di pace, e quando non si considerano simili rischi che appunto vengono celati, è facile dire che i tanti militari portino ricchezza, la stessa Marina italiana ad Augusta, fra marinai e familiari, ha circa 5mila persone; ma quanto pesino i rischi e le enormi servitù militari che paralizzano il territorio nessuno ne tiene conto. Figurarsi quelli assai più grandi che derivano da basi di valore strategico assoluto come Sigonella o anche il Muos.

In tutto questo, ciò che fa specie non è tanto la sfacciata sudditanza di Roma, che tutto permette a scatola chiusa e nulla chiede in cambio per le popolazioni, ha troppe antiche partite aperte con Washington, quanto la cieca acquiescenza delle autorità intermedie, a Palermo, a Siracusa e nella stessa Augusta, preoccupate solo dell’oggi e non di quello che comporta un simile scenario, di quanto limiti e penalizzi un territorio e gli imponga rischi enormi senza che nulla per questo riceva come indennizzo. È una sudditanza stracciona, fatta d’ignoranza, d’incapacità di comprendere, di grettezza che si ferma ad una visione della realtà miope quanto superficiale, di convenienza spicciola che svende se stessi e la propria gente per il classico piatto di lenticchie.    

di Salvo Ardizzone

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