di Manuela Comito
Più di 700 artisti in tutto il mondo hanno avviato il boicottaggio culturale di Israele in segno di protesta per quelle che definiscono “azioni disumane del governo di Tel Aviv contro il popolo palestinese”. Venerdì 13 febbraio, con una lettera aperta pubblicata sul “The Guardian”, gli artisti hanno annunciato che non intratterranno più alcun tipo di relazione culturale con il regime israeliano. “Non accetteremo inviti né alcun finanziamento da qualsiasi ente legato a Israele. Non suoneremo, né accetteremo premi, né parteciperemo a mostre, feste, conferenze fino a che Israele non rispetterà il Diritto Internazionale e porrà fine alla sua oppressione coloniale sui Palestinesi” si legge nella lettera.
Inoltre viene citata l’organizzazione israeliana per i Diritti Umani B’Tselem, che ha definito l’anno 2014 come “uno dei più crudeli e più sanguinosi della storia dell’occupazione”. I firmatari, tra i quali spiccano artisti del calibro di Brian Eno, Alexei Sayle, Richard Ashcroft, Riz Ahmed, Miriam Margolyes, Ken Loach e Roger Waters, hanno voluto sottolineare come la violenza del regime israeliano contro il popolo palestinese si estenda anche alla cultura: le istituzioni culturali palestinesi sono spesso sotto attacco e gli operatori culturali sono soggetti a molte restrizioni.
Alcuni dei firmatari hanno anche postato dei messaggi sul sito http://artistsforpalestine.org.uk, ribadendo la propria condanna alla politica israeliana di occupazione, di pulizia etnica e di apartheid. Significativo il messaggio lanciato dalla cantante Deborah Fink, che ha dichiarato: “Dal momento che i governi non agiscono, tocca alla società civile fare pressione. Per quanto mi riguarda continuerò a parlare come artista e come ebrea”.
