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Arabia Saudita: pena di morte arma contro dissidenti

Condannato a morte perché dissidente. Da sempre i sauditi usano la pena di morte come arma per annientare i dissidenti e mettere a tacere l’opposizione politica.

Alla recente notizia della condanna a morte di 14 imputati, rei di aver partecipato a manifestazioni di protesta contro la Monarchia, la responsabile per il Medio Oriente di Amnesty International, Samah Hadid, ha invitato il re Salman ad annullare immediatamente le esecuzioni “in quanto sono il risultato di un processo ridicolo che offende il concetto stesso di giustizia”.

I 14 prigionieri sarebbero stati condannati a morte al termine di un processo basato su “confessioni” estorte con la tortura ed in totale assenza di prove evidenti.

A causa dell’altissimo grado di segretezza che ruota intorno al “processo giudiziario” in Arabia Saudita, le famiglie dei condannati sono private di ogni tipo di informazione; raramente questi vengono portati a conoscenza dello stato del processo e, nel peggiore dei casi, non gli viene neppure comunicata la data dell’esecuzione.

I 14 imputati, condannati a morte per decapitazione, sono stati accusati di diversi reati tra cui: rivolta armata contro il re, attacco a mano armata al personale della sicurezza, “preparazione ed uso di bombe Molotov, incitamento al caos e partecipazione a disordini”. L’esecuzione potrebbe essere imminente: manca solo la ratifica del re Salman.

Dall’inizio del 2017, in Arabia Saudita sono state eseguite 66 condanne a morte, 26 delle quali solo nel mese di luglio. Amnesty International ha registrato un preoccupante aumento delle condanne a morte contro i dissidenti politici in Arabia Saudita dal 2013, soprattutto nei confronti della comunità sciita.

Emblematico fu il caso della condanna alla pena di morte dell’imam sciita Nimr al-Nimr, giustiziato nel Dicembre del 2016, insieme ad altri 46 uomini, accusati ingiustamente di terrorismo. Il caso suscitò fortissimi disordini in Iran, Iraq, Libano, Yemen e Bahrein e in molti altri Paesi musulmani e determinò la rottura dei rapporti diplomatici tra Ryadh e Teheran.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno ripetutamente criticato la Gran Bretagna e gli Stati Uniti per aver permesso al regime saudita di violare i diritti umani contro il suo stesso popolo senza mai intervenire.

di M.I.

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