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Africa, “la porta del non ritorno”

Africa – A tre km al largo di Dakar, in Senegal, si trova una piccola isola di 36 ettari, chiamata Gorèe. Con circa 20 minuti di traghetto dalla capitale senegalese, questa piccola striscia di terra posta nel punto più occidentale della costa africana, offre uno scenario affascinante, caratterizzato da strette viuzze sabbiose prive di automobili e del loro rumore, con architetture che ci portano al periodo coloniale. Un antico Baobab rapisce l’attenzione di chi gli passa affianco. L’atmosfera è magica grazie ai colori pittoreschi delle case che si affacciano su un mare cristallino, contornato da spiagge bianche. Proprio su quelle spiagge, se si continua a percorrere la costa dell’isola, si può incontrare qualcosa che di febeo ha ben poco.

Les Maison des Eclaves” (la casa degli schiavi). Un’enorme e bellissima casa coloniale dai color pastello, con il cortile e una scala a conchiglia davanti a sé. Salendo le scale si entra nelle stanze del colono, con terrazzo sull’oceano e una vista paradisiaca. Se invece le scale si scendono, si può camminare tra le celle ormai vuote, destinate un tempo a persone da poter vendere al miglior acquirente. Celle di un metro per un metro e 60. Divise per sesso ed età, le persone venivano prelevate nell’entroterra africano, venduti da altrettanto spietati capi villaggio per armi o gioielli. I malati e i meno forti, chi non era riuscito ad essere venduto, era dato in pasto agli squali. Scenario non molto diverso rispetto a genocidi più famosi di questo. Arrivati alla “Maison des Eclaves”, chi veniva venduto oltrepassava la “Porta del non ritorno”. Da lì sarebbero salpati sul galeone e avrebbero iniziato la loro nuova vita priva di dignità.

È proprio con la parola genocidio, Maafa in lingua Swahili, che gli abitanti di questa isola definiscono la storia che va dal 1536 al 1848. Il periodo nel quale gli europei avevano trasformato, a loro piacimento, la definizione “scambi commerciali” in “schiavitù”. Il periodo nel quale circa 60 milioni di persone sono state strappate via dai loro villaggi, osservando impotenti rinchiudere moglie da una parte e figli dall’altra, dentro celle anguste, per poter soddisfare i bisogni di ricchi proprietari terrieri che dall’altra parte del mondo avevano conquistato a suon di morte.

Abolizione della schiavitù

Nel 1833, la schiavitù venne abolita ma la conferenza di Berlino continuava a vigere sulla vita degli africani. Nel 1876 gli europei discutevano su chi doveva governare quale zona dell’Africa, senza nessun rappresentante africano. Si spartirono il continente e disegnarono i confini come li conosciamo oggi, tagliando fuori da aree strategiche (vicino a bacini d’acqua) alcuni popoli e stravolgendo i rapporti tra gli stessi. Senza dilungarsi troppo, perché tanto ci sarebbe da dire su questo stralcio di storia, l’Africa aveva appena subito una grave carenza di forza lavoro a causa delle massive deportazioni di persone nei campi americani. Gli africani non potevano riunirsi in associazioni per discutere dell’economia, della politica o dell’amministrazione africana perché tutto era in mano alle diverse potenze coloniali dell’epoca. L’unica cosa che gli era permesso fare era produrre per il mercato estero.

Poi arriva la fine della seconda guerra mondiale. Sembra che i grandi capi abbiano capito l’importanza del singolo individuo e si vogliano riunire per siglare quello che poi si chiameranno “Nazioni Unite”. Questa idea di un mondo unito, dove ognuno rispondeva a delle regole di morale e di diritto universale, erano nate durante gli scontri della seconda guerra mondiale, mentre alcuni Paesi si trovavano sotto la mira espansionistica della Germania nazista. Insieme si riunirono e diedero vita alla “Dichiarazione Interalleata”, dove si “impegnavano a lavorare insieme agli altri popoli liberi, sia in tempo di guerra sia in tempo di pace” (Londra, 12 giugno 1941).

Pochi mesi dopo i presidenti Roosevelt e Churchill si incontrarono al largo dell’isola di Terranova, sulla nave da guerra inglese HMS Prince of Wales, per firmare il “Patto Atlantico”, nella quale si impegnavano in una collaborazione internazionale per il mantenimento della “pace e della sicurezza”. L’Unione Sovietica e la Cina si aggiunsero in seguito e firmarono con gli Stati Uniti e il Regno Unito la “Dichiarazione sulla sicurezza generale”. Ne susseguirono riunioni dove le quattro potenze stilarono il primo progetto delle Nazioni Unite e si accordarono sugli scopi, la struttura e il funzionamento dell’organizzazione.

Le Nazioni Unite

I principi delle Nazioni Unite erano stati stabiliti, dopodiché 50 Paesi del mondo espressero la volontà di riunirsi e firmare uno Statuto che donasse alle società un’esistenza di dignità, pace e sicurezza. Così nacquero le “Nazioni Unite”. Questa idea ebbe il suo apice con la “Dichiarazione universale dei diritti umani” dove sono stilati i diritti che ogni essere umano ha dalla nascita e su come ogni istituzione si debba comportare rispetto alla singola persona. “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” e “Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà”, gridano i Paesi firmatari di questi diritti eppure il risultato che ne viene fuori dopo 71 anni sembra un altro. Milioni di persone emigrano dalla propria casa per allontanarsi da una vita fatta di povertà, instabilità, troppo spesso di violenza, ma soprattutto senza la certezza di poter sviluppare una vita adeguata nel posto dove si è nati.

Da circa otto anni sono iniziati ad arrivare in massa anche sulle coste europee. Tante delle persone che sono disposte a salire a bordo di barche fatiscenti in mezzo alle acque del Mediterraneo vengono dall’Africa, i cosiddetti “migranti economici”. Quell’Africa che solo mezzo secolo fa, in altri casi solo da pochi decenni, è stata concessa l’indipendenza politica, economica e tecnologica, dopo 400 anni di colonizzazione.

Ora le cose sono cambiate, i Paesi europei vogliono avere rapporti con i partner africani basati sulla cooperazione e sullo sviluppo. Nei documenti che riguardano i rapporti tra Europa e Africa ci si imbatte spesso in obiettivi lodevoli come i “diritti umani”, “sviluppo” “azzeramento della povertà”, “democrazia”, “pace” e “libertà”. Parole bellissime, ma sarebbe interessante anche capire il “come”.

Africa e Relazioni esterne

Se si cerca su internet “Note tematiche sull’Unione Europea”, sotto la voce “Relazioni esterne – Africa”, si trovano i svariati accordi politici, economici e di sviluppo firmati dai due continenti. Accordi che regolano i loro rapporti da 44 anni. Nel testo c’è scritto: “Le relazioni Ue-Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) risalgono alle convenzioni di Lomé I-IV (1975-2000), che recano le disposizioni in materia di cooperazione allo sviluppo e commercio, consentendo al 99,5% dei prodotti dei paesi Acp di beneficiare del libero accesso al mercato europeo”.

In poche parole, l’accordo prevedeva l’esportazione agevolata, per esempio senza dazi, del mercato africano nel mercato europeo, senza reciprocità, per quasi tutti i prodotti africani in Europa. Alcuni prodotti da esportare erano visti con un occhio di riguardo: “Si sono inoltre prese disposizioni specifiche e vantaggiose per alcuni prodotti importanti, nel quadro dei protocolli relativi allo zucchero, alle banane, al rum e alle carni bovine, che possono procurare notevoli benefici finanziari ai paesi Acp”. I notevoli benefici finanziari non sono mai arrivati. L’Africa continuava a essere il continente più dissestato del mondo, senza un mercato interno forte e con i bambini spesso oggetto di campagne pubblicitarie per la beneficenza in Africa.

Nel 2000 si sentiva il bisogno di aprire l’Africa al mercato mondiale: “All’accordo di Lomé ha fatto seguito l’accordo di Cotonou, firmato il 23 giugno 2000 e che è valido per 20 anni. L’obiettivo dell’accordo di Cotonou è di estirpare la povertà integrando maggiormente i Paesi Acp nell’economia mondiale. Tale accordo utilizza il termine «partenariato», sottolineando l’impegno e la responsabilità comuni e mettendo in rilievo il dialogo politico, i diritti umani, la democrazia e la buona governance”.

Ai Paesi europei era così a cuore lo sviluppo dell’Africa, la sua pace e la buona governance che qualche anno dopo il 2000 appoggiarono l’iniziativa della Banca Mondiale per togliere qualsiasi limite sull’acquisto o l’affitto a lungo termine delle terre del sud del mondo. Milioni di ettari di terreno da poter vendere a privati, multinazionali o Stati per pochi euro l’ettaro e impiegarli in vastissime lande di monocoltura, quel tipo di coltura che ha bisogno di disboscare centinaia di migliaia di foresta per coltivare un unico prodotto. Gli abitanti di quelle terre spesso non hanno accesso a quei contratti, quindi, da un giorno all’altro, non possono più accedere alle proprie terre con conseguente espropriazione di case e/o terreni.

Questo sistema si chiama “libero scambio” e lo hanno adottato per “stimolare il settore agricolo nei paesi emergenti o in via di sviluppo attraverso l’afflusso di capitali stranieri e dimezzare il numero di persone che soffrono la fame entro il 2015”. L’istituto che utilizza questa politica si chiama “Banca Mondiale”, ufficialmente nata per “lo sviluppo economico e l’assistenza ai Paesi in via di sviluppo”, facente parte delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite.

Ora siete bravi, ora siete buoni, ora sapete usare le parole giuste. Ora avete imparato a vendere bene il vostro modo di far politica. Avete imparato che la diplomazia è il mezzo migliore per mantenere rapporti e obiettivi con paesi subordinati. Perché quando si usano le parole giuste, è più difficile andar a fondo delle decisioni che sono state prese. Nessuno può essere contro le parole libertà, pace e sviluppo.

Ora siete buoni, non li mettete più dentro le celle. Ora è più facile scappare, da soli, in mezzo al mare. E ora che il gioco sporco vi si sta rivoltando contro, iniziate a giocare al buono e il cattivo. Chi chiude i porti facendo finta che non entra più nessuno, e chi apre esclusivamente le braccia, firmando un patto sulla migrazione non vincolante chiamato “Global Compact”, che non parla mai del diritto di vita nel luogo di nascita. Volete continuare a distrarci, dalla prova inconfutabile che la vostra politica ha fallito sul piano umano ed economico. Ma adesso il vaso di Pandora è aperto, sta solo a noi guardarlo.

di Irene Pastecchi

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