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Africa, il continente della Pax americana o della guerra al terrore?

Africa – Lo storico Herfried Münklernel nel libro “Imperi”, a proposito del dialogo tra i rappresentanti degli ateniesi e degli abitanti di Melo ricostruito da Tucidide, ricorda la frase di Bush: “Who’ s not for us is against us”, ma è probabile che il presidente americano, più che allo storico greco, pensasse ai Vangeli di Matteo e di Luca: “Chi non è con me è contro di me”.

africaDa tempo si parla degli Stati Uniti come dell’Impero che ha deciso che chiunque, ovunque, sulla terra può rappresentare un “pericolo imminente” per la patria, trasformando il concetto di difesa “nazionale” in difesa “internazionale” e nessun luogo è troppo lontano per andare a difendere se stessi e a portarvi la pace agognata.

A duemila anni dalla morte dell’artefice dell’impero romano, Ottaviano Augusto, non si parla della Pax augustea divulgata dal genio virgiliano ma della Pax americana, in nome della quale George Bush, annunciando il bombardamento dell’Afghanistan, affermava: “Siamo una nazione pacifica! Questa è la vocazione degli Stati Uniti – la nazione più libera al mondo, una nazione costruita su valori fondamentali che rifiutano l’odio, rifiutano la violenza, rifiutano gli assassini e rifiutano il male”. 

Se in nome della pace gli Usa nel ventesimo secolo hanno bombardato la Cina, la Corea, il Guatemala, l’Indonesia, Cuba, lo Zaire, il Perù, il Laos, il Vietnam, la Cambogia, Grenada, la Libia, El Salvador, il Nicaragua, Panama, l’Iraq, la Bosnia, il Sudan, la Jugoslavia, nel ventunesimo secolo la pax americana, senza perdere di vista Paesi occidentali ed orientali, ha steso le ali su di un intero continente: l’Africa.

La pianificazione della presenza americana militarizzata in Africa è andata avanti per anni, in un’Africa sottoposta a particolari tipi di destabilizzazione che – secondo l’analista Nick Turse – sta spandendosi in tutto il continente.  L’esercito degli Stati Uniti, insieme con l’intelligence Cia, sta muovendosi più profondamente in Africa, dalla Libia alla Somalia alla Repubblica Centrafricana, contribuendo a trasformare il continente in Centrale della guerra al Terrore.

Nick Turse, in“The Battlefield of Tomorrow, Today”, riporta  la crescita delle attività di “formazione” statunitensi in tutto il continente africano, sotto il comando regionale noto come “Africom”. Tra il 2008 al 2013 il numero di missioni, esercitazioni, operazioni e altre attività sotto competenza di Africom è aumentato da 172 a 546. L’esercito americano è coinvolto nei conflitti “proxy”, tra cui il favoreggiamento delle forze francesi e africane in Mali e nella Repubblica Centrafricana. Dal 2011 al 2013 il Registro dell’esercito Usa in Africa rivela un aumento del 94% in tutte la attività del personale dell’esercito, tra cui un aumento del 174% nelle missioni di partenariato con gli Stati (da 34 a 93) e un salto del 436% delle attività di consulenza ed assistenza, tra cui le missioni Acota (da 11 a 59).

Inoltre un’indagine di Tom Dispach, analizzando documenti ufficiali ed informazioni open source, ha rivelato che l’esercito americano è stato coinvolto con almeno 49 delle 54 nazioni del continente africano nel 2012 e nel 2013 in attività che andavano da operazioni speciali di incursioni alla formazione delle forze proxy.

L’unica base ufficiale sul continente è Camp Lemonnier, di Gibuti. Secondo Turse, tuttavia, i documenti ufficiali menzionano altre basi più piccole, tra cui i siti operativi o posizioni a lungo termine; sedi di cooperazione di sicurezza, in cui un piccolo numero di soldati americani ruotano periodicamente; e luoghi di emergenza, che vengono utilizzati solo durante le missioni in corso.

Da sottolineare che il comando americano (Africom) è ospitato nelle basi americane in Italia. A Vicenza, sede di una forza di intervento di reazione rapida, la 173^ Brigata di Fanteria Combat Team (Airborne), e componente dell’esercito del Comando Africa degli Stati Uniti, la base si estende per un chilometro e mezzo, da nord a sud, facendo impallidire tutto il resto della piccola città. In effetti, in più di 145 ettari, la base è quasi esattamente la dimensione del National Mall di Washington o l’equivalente di circa 110 campi di calcio americano. E a Sigonella, dove dal 2011 Africom ha disposto un’unità militare di circa 180 marines e di due velivoli per la base per fornire addestramento di antiterrorismo al  personale militare in Botswana, Liberia, Gibuti, Burundi, Uganda, Tanzania, Kenya, Tunisia e Senegal.

Anche l’Italia quindi partecipa alla Pax americana e quando un giorno, in qualche modo inaspettato, la storia delle basi americane italiane improvvisamente irromperà nel mainstream, ancora una volta ci sembrerà che arrivi di punto in bianco, dal nulla, senza alcun contesto, e tutti saremo scioccati di una situazione che si protrae da quasi settant’anni medianti accordi, spesso segreti, di tutti i governi italiani con gli Stati Uniti.

di Cristina Amoroso

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