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Afghanistan e il gioco perverso Usa/Talebani

In Italia si parla sempre troppo poco di politica estera, eppure partecipiamo a tante missioni internazionali; ad esempio il nostro Paese è presente in Afghanistan da circa 18 anni. Come si fa a non dare ragione alla Ministro della Difesa Elisabetta Trenta quando dice che le missioni hanno un inizio ma devono avere anche una fine? Oppure bisogna darle torto per forza poiché ormai il dibattito pubblico lascia quasi esclusivamente spazio solo a ripetitive e a volte forzate voci contro il governo Lega/Movimento Cinque Stelle senza quasi più concedere nulla agli esponenti di quest’ultimo? Ma si lasci la politica interna alle sue beghe e ci si occupi del più ampio orizzonte degli “Esteri”. Senza andare troppo in là con gli anni ricordiamo che siamo in Afghanistan perché gli Stati Uniti d’America, aiutati dal Regno Unito e appoggiati da una piccola coalizione di altre nazioni, iniziarono un’azione militare contro i Talebani nell’Ottobre 2001. L’intento dichiarato era di rimuoverli dal potere a causa dell’aiuto fornito a Osama bin Laden coinvolto negli attacchi dell’11 Settembre 2001 e al loro rifiuto di consegnarlo.

Questo in estrema sintesi, sottolineando con altrettante poche parole che negli ‘80/’90 per sottrarre il Paese (Repubblica Democratica dell’Afghanistan) all’influenza russa, gli Americani e la comunità internazionale al seguito, appoggiarono i mujaheddin e gli stessi Talebani, pur essendo consapevoli della loro ideologia religiosa ispirata a un Islam fondamentalista (molto vicina al Wahabismo) traslata in ambito socio/politico.

E’ bene rinfrescare la memoria ricordando molto velocemente che una volta al potere, non solo il saudita Osama bin Laden riuscì a forgiare un’alleanza tra i Talebani e la sua organizzazione al-Qāʿida ma venne istituita (a proprio uso e consumo) la shari’a, la Legge Islamica; fu bandita ogni forma di spettacolo televisivo, fu istituita una polizia religiosa, venne rivolta una particolare attenzione alla cura della barba come aspetto caratteristico e identificativo dell’uomo e alla donna venne proibito di lavorare e di accedere all’istruzione mista.

In seguito, pur avendo dichiarato dopo la guerra coi russi di voler arrestare la produzione dell’oppio, i “Signori della guerra” Talebani presero il controllo totale del business facendo crescere vertiginosamente tutta la filiera e finanziando il terrorismo internazionale coi ricavi miliardari.

La missione internazionale Isaf prima e la missione “Sostegno Risoluto” (Resolute Support Mission) dopo non hanno mai dato del tutto l’impressione di aver arrestato il traffico della sostanza stupefacente, pur sapendo che è questo che finanzia per la maggior parte il terrorismo proveniente da quell’aerea. Studi e inchieste hanno non poche volte dimostrato che l’oppio e l’eroina provenienti da questo Stato arrivassero in Kosovo sia per essere lavorati che smerciati. Eppure entrambi i Paesi citati sono oggetto di Missioni Internazionali Nato e Onu.

Il contingente militare italiano in Afghanistan

Il contingente militare italiano in Afghanistan è attualmente a guida della brigata aerotrasportata “Friuli” con sede a Bologna. Il passaggio delle consegne tra la brigata meccanizzata “Pinerolo” con sede in Puglia e la “Friuli” è avvenuto il 15 Dicembre scorso dopo sei mesi di addestramento, consulenza e assistenza a favore delle forze di sicurezza locali. La cerimonia si è svolta ad Herat alla presenza del ministro della Difesa Elisabetta Trenta.

La “Friuli” è alla guida del Train Advise Assist & Command – West (TAAC-W), il comando Nato multinazionale e interforze a guida italiana che opera nella regione ovest dell’Afghanistan nell’ambito della Missione Resolute Support (RS). Il mandato del generale di brigata Salvatore Annigliato si presenta tra i più complessi degli ultimi anni, poiché pende il ritiro Usa; inoltre, ai militari italiani è stato teso un attacco nelle prime settimane di impiego dopo l’arrivo nel Paese degli Aquiloni.

Dopo questa breve panoramica che percorre un arco temporale decennale e che ci interessa da vicino, risulta come un fulmine a ciel sereno sapere, non che la responsabile del Dicastero Elisabetta Trenta abbia paventato la possibilità di lasciare Kabul, ma che gli Stati Uniti da fine Gennaio siano in trattativa continua coi Talebani per andare via lasciando loro libero il campo e cercando in cambio di farsi garantire che l’Afghanistan non diventi un “covo” di terroristi. Commentare seriamente una dinamica del genere non è facile in quanto senza dubbio ha del grottesco.

Sembra chiaro che appreso ciò, la Ministro della Difesa, come probabilmente qualsiasi altra persona mediamente normale su questa Terra, ordini di conseguenza al Coi (Comando Operativo di Vertice Interforze) di pianificare un rientro italiano e la chiusura della Missione. Se siamo lì per affari Nato e Statunitensi, dopo un infinito esborso di denaro e vite umane perse e Donald Trump decide di andare via, l’Italia cosa resta a fare coi Talebani?

Il nocciolo paradossale della questione dunque, non sta nel fatto che la Trenta decida di mandar via il contingente italiano, ma riguarda gli Usa che organizzano dei colloqui e degli accordi con coloro che volevano cacciare nel 2001 chiedendo che il Paese non apra le porte a organizzazioni terroristiche, trasformando l’Afghanistan in un campo di addestramento di mercenari internazionali.

L’Italia è stata in missione per 18 anni perché si tornasse al punto di prima? I talebani erano già al potere nel 2001 da anni, da dopo la guerra coi russi, perché ora vengono nuovamente legittimati?Ma è lecito accordarsi con dei terroristi che rappresentano il fondamentalismo islamico più pericoloso dopo aver dichiarato loro guerra nel 2001?

Gli incontri di pubblico dominio si svolgono da tempo a Doha in Qatar, l’ultimo c’è stato il 25 Febbraio, alla presenza del capo politico dei talebani, il Mullah Abdul Ghani Baradar, incarcerato a sua volta in Pakistan per otto anni per motivi facilmente intuibili.

La bozza di accordo sul “futuro di pace” tra Baradar e l’inviato Statunitense Zalmay Khalilzad raggiunta il 28 Gennaio 2019 in Qatar prevede da parte dei guerriglieri l’impegno a non far diventare la nazione un santuario di terroristi e gli americani d’altro canto, garantiscono un ritiro totale delle truppe in cambio del cessate il fuoco e il coinvolgimento talebano nei colloqui col governo afghano.

Alcune domande saltano inevitabilmente alla mente: ma di che pace si può parlare coi talebani, coi terroristi e con chi ha usato e probabilmente usa ancora il traffico di stupefacenti per finanziare il terrorismo? Ma che genere di dialogo si vuole e si può intavolare con i Talebani? Ma su cosa si può contare? Su una loro firma? Sui soldi? Grazie all’oppio l’Afghanistan è loro. Ma è opportuno davvero coinvolgere i Talebani in una qualsiasi forma di governo? Se lo si sapeva prima non andavamo in Afghanistan per 18 anni.

Con la Siria a un passo dalla cacciata totale dei terroristi internazionali dal suo territorio e con l’Iraq in affanno, risulta difficile non realizzare che questo accordo spalanca la via del pellegrinaggio “riorganizzativo” dei mercenari di varia natura, nazionalità e fazioni verso Kabul. Gli americani e la comunità occidentale non si stanno accordando con delle anime miti e pie e il Grande Medio Oriente è sempre pronto a ribollire a causa della inesistente e poco lungimirante politica estera occidentale.

di Ilaria Parpaglioni

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