Europa

Dalle urne norvegesi, arriva una lezione per l’UE: il multiculturalismo non funziona

di Mauro Indelicato

In Norvegia si conferma l’andazzo che, complice l’attuale situazione di sfiducia nel sistema scandinavo, si sta diffondendo in tutto il nord Europa. Un tempo feudo di liberisti, progressisti e laburisti, anche Oslo volta pagina e passa ad un governo di centro – destra, che promette un cambio di rotta nelle politiche sociali e dell’immigrazione.
Il voto norvegese, secondo molti, non va inquadrato in una semplice alternanza tra due partiti in un sistema bipolare, anche perché la Norvegia non ha questo tipo di sistema politico, essendo il parlamento tradizionalmente frazionato in diversi schemi; va invece visto nel contesto più generale di fallimento del modello scandinavo prima citato, che sta facendo emergere formazioni nazionaliste anche in Danimarca e Svezia.

Proprio in quest’ultimo paese, si è consumato lo strappo, qualche mese fa, con il sistema di questi ultimi anni: la tranquilla Stoccolma, è stata preda per due settimane intere di rivolte nei quartieri periferici degli immigrati più poveri, sullo stile dei disordini delle banlieu parigine del 2005. In più, i tassi di reati come stupri e furti sono aumentati con percentuali che superano di gran lunga il 50%; da qui, la presa di posizione anche dei ministri più liberali, i quali hanno dichiarato la volontà di rivedere le politiche dell’immigrazione e c’è chi ha anche accennato ad un mea culpa per non aver controllato o regolarizzato gli accessi nel paese.

In Norvegia, la situazione non è diversa, anzi si sono avuti casi di estrema esplosione del malcontento, come quello di Utoya, l’isola del fiordo di Oslo nella quale Anders Breivik ha ucciso 96 ragazzi durante un raduno dei giovani del Partito Laburista nell’estate del 2011; anche in questo paese scandinavo, cresce l’insofferenza verso una situazione nella quale l’ondata di liberalità tra gli anni 90 e 2000, sta creando non poco disorientamento in seno alla comunità nazionale ed alla società. I media europei, parlano del modello scandinavo come di un modello d’integrazione di successo, in realtà la situazione è ben diversa ed i risultati elettorali norvegesi lo dimostrano.
Colpisce in particolare, proprio per la tradizionale liberale – progressista del paese, l’ascesa del Partito del Progresso, che sarà decisivo affinché il nuovo schieramento di centro – destra, guidato dai conservatori di Erna Solberg, possa formare un nuovo governo. Hanno fatto in fretta tv e giornali del vecchio continente a sottolineare l’appartenenza dello stesso Breivik al Partito del Progresso; ma, al di là del fatto che lo stesso boia di Utoya lo aveva lasciato già da più di 10 anni, da notare molte differenze anche ideologiche tra Breivik e la formazione prima citata.
Il Partito del Progresso, altro non è che un partito, prima di dimensioni ridotte, che si è sempre opposto alla politica liberale sia verso l’immigrazione, sia verso l’estensione di determinati diritti di famiglia alle coppie gay. Adesso, vista la piega sociale, ricca di inediti, per la Norvegia, scontri e tensioni sociali nonostante una ricchezza ineguagliata al momento nel resto d’Europa, sembra quasi fisiologico che gli elettori abbiano dato maggior fiducia a chi promette una certa revisione delle politiche liberali.

La lezione norvegese, dovrebbero comunque recepirla un po’ tutti nel vecchio continente: se gli stessi paesi più liberali, non solo per forma di governo ma quasi per indole nazionale, valutano l’opportunità di rivedere determinate scelte orientate al multiculturalismo, vuol dire che questo modello non funziona e ci si dovrebbe, in futuro, occupare maggiormente a non strozzare i paesi africani con il debito, permettendo loro di prosperare, piuttosto che attuare piani di smembramento della società mostrati all’opinione pubblica come “azioni di solidarietà”.

In Scandinavia, dopo anni di assuefazione a modelli sperimentali tacciati come “progressi di civiltà”, sembra che la popolazione stia aprendo gli occhi, alla luce degli ultimi fatti; adesso, la speranza è che anche il resto d’Europa capisca il colossale e ben orchestrato malinteso posto alla base delle recenti politiche sociali.

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