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Abbandono scolastico e gli effetti dell’immigrazione

Può l’abbandono scolastico scontare gli effetti dell’immigrazione? Si, stando a quanto si legge nel report di Brunello, Lodigiani e Rocco: “Does low skilled immigration cause human capital polarization?”. I risultati sembrano non lasciare dubbi.

Utilizzando dati longitudinali delle province italiane tra il 2006 e il 2016 della Rilevazione continua sulle forze lavoro e i dati demografici sulla popolazione regolare residente, entrambi di fonte Istat, vediamo che la crescita di un punto percentuale nella quota di immigrati sulla popolazione residente induce un aumento di 1,2/1,7 punti percentuali nella quota dei giovani maschi (femmine) che tra i 19 e 27 anni abbandona la scuola prima di avere conseguito un diploma di scuola superiore e non è iscritto, al momento dell’intervista, né a corsi di formazione professionale né a corsi di altro genere.

Tenendo sempre in considerazione il cambiamento avvenuto negli ultimi dieci anni che vede la quota di immigrati regolari (si parla di questi), passare dal 3,9% del 2006 al 7,6% del 2016. Al primo Gennaio del 2016 gli stranieri residenti in Italia si attestavano all’8,3% per un totale di 5.02,153. Lontanissimi quindi dalla tanto sbandierata invasione proclamata dai politicanti professionisti della disinformazione. Si deve tenere bene in mente che parliamo di cifre molto più basse rispetto al resto d’Europa dove vivono quasi 31 milioni di stranieri. Un terzo di questi sono cittadini di uno Stato membro dell’Ue, gli altri 20 milioni provengono invece da Paesi non comunitari dell’Europa (6 milioni circa), dell’Africa (4,7 milioni), dell’Asia (3,7 milioni) e del continente americano (3,2 milioni). In totale, i cittadini stranieri rappresentano il 6,2% della popolazione totale dell’Unione europea.

Se l’Italia si situa al quinto posto come nazione che ospita più immigrati, sale un gradino quando si parla di emigrazione, infatti i concittadini italiani che vivono e lavorano all’estero sono più di4.973.942 (dati aggiornati al Gennaio del 2017). Tenendo conto che i cittadini italiani sono poco meno di 56 milioni, la percentuale di italiani all’estero è del 7% del totale; l’Argentina è quella che ne ospita di più, quasi settecentomila, seguita dalla Germania e dalla Svizzera (censimento Aire 2012).

Tuttavia è innegabile che l’immigrazione si differenzia tra i vari Paesi, soprattutto per le sue caratteristiche: in Italia il 90% deli immigrati proviene da Paesi molto poveri ed in via di sviluppo, tra questi solo il 10% possiede un titolo di studio universitario o un livello di competenze medio, cosa che successe anche nel processo di emigrazione degli italiani nel ‘900, si muovevano coloro che non possedevano titoli di studio andando ad occupare i posti di lavoro che la popolazione locale non prediligeva; vedi il lavoro in miniera nel Belgio.

La tradizionale suddivisione del modello economico che delinea due tipologie complementari di lavoro, quello con competenze limitate e quello con competenze elevate, implica che un afflusso del secondo tipo riduce le retribuzioni del lavoro poco qualificato ed aumento quelle del lavoro ad alte competenze.

Se così fosse, però, l’incremento dell’immigrazione dovrebbe portare gli italiani ad investire maggiormente nella formazione e nell’istruzione, cosa che nella pratica non avviene. Si dovrebbe notare allora un incremento di coloro che acquisiscono lauree e una diminuzione di coloro che abbandonano gli studi ancor prima di aver conseguito un diploma di scuola superiore. Un incremento nell’investimento dell’istruzione e della formazione potrebbe portare i giovani italiani ad ambire alle mansioni che richiedono l’utilizzo di competenze qualificate e di conseguenza di venire meglio retribuiti.

Se la quota di immigrati fosse rimasta ferma a livello del 2006, la proporzione di giovani italiani con bassa istruzione sarebbe stata pari al 13 (6) per cento, invece che al 18 (12) per cento effettivamente osservato. Analogamente, la proporzione di giovani maschi con istruzione universitaria sarebbe stata pari al 26 per cento anziché al 33 per cento osservato (non ci sarebbero invece differenze di rilievo tra le giovani donne).

Sono effetti di consistente ripercussione nel lungo periodo; l’aumento dell’immigrazione ha influito sul numero di italiani che abbandonano la scuola anzitempo. Il motivo? Dallo studio emerge che l’immigrazione ha un effetto variegato sulle retribuzioni, che penalizza le mansioni con competenze intermedie mentre favorisce sia quelle con competenze basse (per entrambi i generi) sia le mansioni con competenze elevate (per i soli maschi). Di conseguenza, alcuni individui che senza immigrazione avrebbero scelto un’istruzione di livello intermedio sono indotti a studiare meno, mentre altri sono indotti a studiare più a lungo. Drammatici sono i dati che provengono dalla Sicilia e dalla Sardegna dove si registrano i tassi più alti dell’abbandono scolastico.

I Paesi dell’Ue si sono impegnati a ridurre la media degli abbandoni scolastici a meno del 10% entro il 2020. Secondo il monitoraggio europeo Early leavers from education and training 206 l’Italia si assesta sul 13,8% (al pari con la Bulgaria e Malta). In una situazione peggiore rispetto all’Italia ci sono solo la Spagna (19%) la Romania (18,5%) e il Portogallo (14%). Un dato sconfortante. Vero è che nel 2006, come sottolinea il rapporto del Miur, l’Italia era al 20,8%: la sua posizione è migliorata ed è più vicina al 10% richiesto, ma resta comunque un divario altissimo con il resto d’Europa.

di Sebastiano Lo Monaco

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