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Petrolio nell’Adriatico: traffici e intrighi dietro l’oro nero

A furia di cercare il petrolio lo hanno trovato. Era da molto tempo che i croati ci provavano, ma ora pare ci siano riusciti: la nave di ricerca norvegese Northern Explorer della società Spectrum, ingaggiata dal Governo croato per 12 milioni al mese, che va su e giù per l’Adriatico orientale. Emette onde sonore da 300 decibel (il doppio d’un Jumbo jet che decolli) che rimbalzando sul fondo rivelano ciò che c’è sotto. E sotto pare che ci sia tanto: gas a nord e petrolio a sud su una superficie di 12mila chilometri quadrati.

Secondo il ministero degli Esteri croato, ci sarebbero quasi tre miliardi di barili di petrolio (circa la metà dei giacimenti norvegesi), ma sono sotto un fondale basso (nel punto più profondo non arriva ai cento metri), e in un mare che non è certo quello del Nord né quello dei Caraibi, bastano poche piattaforme a tirarlo su con pochi costi. A Zagabria non stanno nella pelle: son tanti soldi, forse centinaia di miliardi, e per un’economia in recessione da cinque anni, un debito estero di 50 miliardi e la disoccupazione al 18%, è una vera manna.

Certo, i tecnici della Spectrum (i migliori per questo tipo di ricerca) si tengono ancora abbottonati, anche se dicono che si tratta di un fondale assai promettente; ma già, dall’Exxon Mobil all’Eni son già una ventina le compagnie che si son messe in fila per sfruttare il sito. E il Governo croato, che ha un terribile bisogno di risorse, ha già fissato prezzi e ambiti per le concessioni; ma comunque vada, ci vorranno almeno dieci anni prima che l’estrazione vada a regime, e nel frattempo si delineano i guai (che sono tanti).

Petrolio e problematiche ambientali

Intanto c’è il problema dell’ambiente: l’Adriatico è un mare già mezzo morto di suo, e la semplice emissione di onde sonore durante la ricerca (autentiche esplosioni sott’acqua, che si propagano a distanze immense) ha messo in fuga la fauna marina che non ha ucciso. Inoltre, dopo i disastri dei Caraibi, sono in vigore nella Ue norme severe, che obbligano ad una copertura assicurativa per eventuali disastri ambientali (facile a dirsi: vi immaginate le spiagge dell’Adriatico ridotte ad una melma di greggio? Sarebbe il collasso dell’industria del turismo sulle due sponde).

Ma c’è di più: come abbiamo detto, pare che i giacimenti di petrolio più promettenti siano a Sud; quando la Jugoslavia si dissolse, gli Stati che nacquero avevano altre grane a cui pensare, e i confini marittimi fra Croazia e Montenegro non furono definiti del tutto, e ora, col miraggio dell’oro nero, si prospetta un contenzioso all’ultimo sangue.

Il problema Ina

Il problema più grosso, però, riguarda l’Ina, la società petrolifera croata fondata cinquant’anni fa da Tito, quando si cominciò a parlare della possibilità di trovare petrolio; anni fa, il 25% è stato venduto all’ungherese Mol, ma ora i giudici di Zagabria chiedono all’Ungheria di arrestarne il presidente, accusandolo d’aver dato mazzette al premier croato Sanader. La cosa ha condotto ad una crisi diplomatica fra i due Paesi, con tanto di visita di stato cancellata. Ma perché tanta suscettibilità nell’Ungheria? Il fatto è che dietro la Mol c’è Gazprom, e dietro Gazprom c’è Putin, che punta a quel tesoro sotto l’Adriatico.

Come vedete, siamo solo all’inizio d’un intreccio fitto e ingarbugliato, che nessuno può dire dove porterà. Tuttavia, visti gli attori, a costo di passar per pessimisti, dubitiamo (e assai) che quelle risorse saranno usate con buon senso, per lo sviluppo d’un popolo e nel rispetto dell’ambiente.

di Salvo Ardizzone

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