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Beirut ripiomba nel terrore, autobomba uccide 24 civili

di Giovanni Sorbello

Non si sono fatti attendere. Hanno mantenuto la promessa, avevano minacciato di portare il terrore nel cuore della Beirut sciita e così hanno fatto. Hanno risposto nel modo a loro più congeniale, parlando la sola lingua che conoscono, quella del crimine indiscriminato; colpire più innocenti possibili per seminare il terrore. Hanno fatto ripiombare Beirut nel ricordo terrificante della guerra civile.

L’attentato con autobomba effettuato ieri pomeriggio tra Ruwais e Bir el Abed nel sobborgo meridionale di Beirut, segue quello avvenuto nella stessa zona alcune settimane fa e che ha provocato 53 feriti. Questa volta l’attentato doveva far più rumore e soprattutto più vittime. Non è certo un caso se l’autobomba è stata fatta esplodere nel cuore commerciale di Ruwais in un’ora di punta. Il bilancio è molto pesante, gli ultimi dati riferiscono di 24 vittime e circa trecento feriti.

Lo scenario che si è presentato agli occhi dei soccorritori è stato raccapricciante. Decine di auto distrutte, abitazioni sventrate e brandelli di corpi sparsi ovunque. Immagini che riportano alla mente gli anni bui della guerra civile libanese, immagini che qualcuno vorrebbe far rivivere a questo popolo.

Torniamo al tempismo con cui questi terroristi hanno portato a termine il loro atto criminale. Infatti, l’attentato è avvenuto il giorno seguente all’intervista rilasciata da Sayyed Hassan Nasrallah alla Tv Al Mayadeen, in cui ha rivendicato l’attacco ad una pattuglia israeliana, che il 7 agosto scorso si era infiltrata nel villaggio libanese di Labbouneh. Questo attacco in territorio libanese ha portato al ferimento di diversi militari israeliani. Particolare assolutamente rilevante e che evidenzia palesemente un collegamento con l’attacco di ieri. Una tempistica che oltre ad essere un chiaro messaggio è una firma sull’attentato.

Veniamo ai manovali. Da tempo i famigerati miliziani salafiti del Fronte al Nusra, impegnati nell’aggressione al popolo siriano, minacciano attacchi contro la resistenza libanese, colpevole a dir loro di aver partecipato al conflitto siriano al fianco di Assad. In realtà i combattenti di Hezbollah sono intervenuti in difesa dei villaggi sciiti lungo il confine siriano, che venivano attaccati giornalmente dagli stessi miliziani salafiti.

Il ruolo da “marionetta” che ricoprono queste fazioni di estremisti mercenari è ormai abbondantemente chiaro. Che siano sostenuti, finanziati e armati da diversi Paesi stranieri, tra cui Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Israele, è ormai un dato di fatto con tanto di dichiarazioni da parte dei Paesi coinvolti. Il loro progetto non si limita sicuramente solo alla destabilizzazione della Siria, nazione strategica e di riferimento per i vari movimenti di resistenza in Medio Oriente. Colpire e mettere le mani sulla Siria significherebbe spezzare l’asse che da Teheran giunge fino a Beirut, e quindi a Gaza. Un progetto che vede coinvolta l’intera area medio orientale.

Questo progetto sembra aver incontrato non poche difficoltà e imprevisti. Le informazioni che giungono dal fronte di guerra parlano di un netto fallimento della cosiddetta opposizione armata siriana. L’esercito siriano ha riconquistato buona parte del territorio in mano ai “ribelli”, ed ora si prepara al definitivo attacco contro l’ultima roccaforte dell’opposizione che è la città strategica di Aleppo.

Per cercare di capire le dinamiche di ciò che sta accadendo e accadrà in Libano, bisogna necessariamente analizzare il conflitto in Siria, poiché è evidente lo stretto collegamento e coinvolgimento delle parti in causa. Uno scenario che a breve potrebbe trasformarsi in un devastante conflitto su larga scala.

Tra le tanti dichiarazioni di formale condanna giunte da più parti del mondo, bisogna evidenziare quelle del presidente libanese Suleiman, rilasciate alla Tv Al-Alam: “Questo è un atto criminale che porta le impronte digitali del terrorismo israeliano, ed ha lo scopo di destabilizzare il Libano”. La speranza è che le autorità libanesi sappiano affrontare questa situazione con grande fermezza, senza lasciarsi condizionare dalle tradizionali sirene americane.

Come sempre i libanesi sorprendono soprattutto per la loro consapevolezza, quale sia il destino di questo popolo e di questa terra è scritto nella loro storia. Hanno subito decenni di crimini e aggressioni, ma a differenza di altri popoli sono sempre rimasti nella loro terra a combattere. E forse, proprio questa loro volontà rappresenta la loro colpa più grande. Sono figli della Resistenza e conoscono bene il valore del sacrificio, hanno donato le proprie vite e quelle dei propri figli per questa terra, e come ha dichiarato giorni fa il loro leader Nasrallah: “La Resistenza è una questione di principio e di fede”.

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