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Usa. Droni con licenza di uccidere

di Cristina Amoroso

Amnesty International e Human Rights Watch, in due distinti rapporti, mettono sotto accusa gli attacchi indiscriminati sui civili in Pakistan e in Yemen. Gli Stati Uniti dovrebbero mettere fine alla segretezza sui raid aerei condotti dai droni  e portare davanti alla giustizia i responsabili di queste azioni illegali.

Sul programma Usa di attacchi coi droni, Amnesty International rappresenta uno dei più completi studi esistenti dalla prospettiva dei diritti umani. Il rapporto contiene nuove prove sulle uccisioni illegali – in alcuni casi, veri e propri crimini di guerra – causate nelle aree tribali del Pakistan nordoccidentale dagli attacchi coi droni. Grazie alla segretezza che avvolge il programma sui droni – si legge nel rapporto –  l’amministrazione Usa ha di fatto una licenza di uccidere senza controllo giudiziario e in violazione degli standard basilari sui diritti umani. Non si sa neanche esattamente quanti siano stati i bersagli colpiti. A volte, neanche la Cia sa quali siano. Nessun funzionario statunitense risulta essere mai stato chiamato a rispondere di attacchi illegali coi droni in Pakistan. E, per quanto riguarda le vittime degli attacchi e le loro famiglie, che speranza di compensazione possono avere se gli Usa neanche ammettono di averli portati a termine?

Gli attacchi dei droni in Pakistan tra gennaio 2012 e agosto 2013, nel Nord Waziristan, sono stati più di 45, questi almeno sono gli attacchi conosciuti. Amnesty International ha indagato solo su nove attacchi evidenziando episodi risalenti al luglio 2012, quando 18 braccianti, tra cui un ragazzo di 14 anni, furono uccisi in un attacco multiplo contro un povero villaggio situato nei pressi della frontiera con l’Afghanistan. O risalenti a ottobre del 2012 quando Mamana Bibi, una donna di 68 anni, rimase uccisa in un doppio attacco, portato a termine apparentemente con un missile Hellfire, mentre raccoglieva ortaggi nel terreno di famiglia.

Il rapporto di Amnesty International denuncia anche casi di cosiddetti “attacchi ai soccorritori”, in cui coloro che erano corsi in aiuto alle vittime del primo drone sono stati colpiti da un secondo rapido attacco.

Secondo la versione ufficiale, erano “terroristi”. Come “terroristi” erano tante altre vittime degli attacchi coi droni  (tra i 330 e i 374 dal 2004) con cui gli Usa martellano da quasi 10 anni il Pakistan, soprattutto la regione del Nord Waziristan.

In Yemen,  il rapporto di Human Rights Watch conta 57 civili morti tra le 82 vittime di sei differenti attacchi dal 2009.

Secondo il relatore speciale dell’Onu Ben Emmerson , le informazioni preliminari raccolte per un nuovo rapporto ha mostrato che oltre 450 civili sono stati finora uccisi da attacchi dei droni in Pakistan, Afghanistan e Yemen.

Altre relazioni locali e internazionali mostrano che il numero delle vittime civili è molto più alto, e solo il 2 per cento delle persone uccise in attacchi di droni statunitensi sono stati riconosciuti come militanti.
Emmerson ha detto che secondo il ministero degli esteri del Pakistan si parla di ben 330 attacchi dei droni nelle aree tribali nord-occidentali del Paese dal 2004. Circa 2.200 persone, compresi i civili, sono stati uccisi negli attacchi, secondo il governo pakistano.

I report sono stati pubblicati alla vigilia della visita del premier pakistano Nawaz Sharif alla Casa Bianca. Al centro dei colloqui con Barack Obama ci sono il processo di pace in Afghanistan, anche in prospettiva del ritiro del 2014, e le operazioni di droni Usa in Pakistan, che alimentano il malcontento della popolazione e che Islamabad considera una “controproducente violazione della sovranità”. Sul tavolo, di certo, anche la prospettiva di colloqui di pace tra il governo di Islamabad e il movimento dei Talebani del Pakistan e l’economia.

Venerdì sarà l’Assemblea Generale dell’Onu ad affrontare il tema sui droni. Tre giorni fa, le Nazioni unite avevano chiesto agli Stati Uniti di fare chiarezza sul numero di vittime civili provocate dagli attacchi con droni eseguiti contro presunti militanti islamici.

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