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Siria. I “ribelli” allo sbando, sequestrano anche giornalisti “amici”

di Mauro Indelicato

La regola numero uno per chi aspira ad essere un nuovo rappresentante governativo del proprio Paese, è quella di dare un’immagine all’estero “accomodante” ai Paesi occidentali, specie se il Paese in questione è arabo e specie ancora se parliamo della Siria, che sta vivendo un’atroce guerra civile tra i cosiddetti “ribelli” ed il governo centrale.

Ma capita proprio che i sedicenti nuovi rappresentanti del popolo siriano, almeno secondo la Lega Araba e su forte pressione israelo–americana, rapiscano gli uomini della stampa più vicini alle loro posizione, realizzando un clamoroso autogol.

A farne le spese, quattro nostri connazionali, tra cui quell’Amedeo Ricucci da sempre schierato apertamente contro il regime di Assad e presente nel Paese asiatico proprio per documentare il conflitto per la troupe de “La storia siamo noi”, la fortunata trasmissione di Giovanni Minoli che va in onda sugli schermi di Rai Educational.

Ricucci è stato rapito, come detto prima, assieme ad altri tre nostri connazionali, ossia il fotografo Elio Colavolpe, il documentarista Andrea Vignali e la reporter freelance Susan Dabbous; questo è un episodio che, con la mente, rimanda a dieci anni indietro, quando in Iraq la strategia dei rapimenti era all’ordine del giorno e causò numerosi ostaggi sgozzati ed uccisi, tra cui diversi italiani, come il giornalista Enzo Baldoni.

Ma in quel caso, vi era una strategia mirata, con obiettivi altrettanto mirati, mentre il paradosso dei “ribelli” siriani, dimostra ancora una volta di come l’esercito antagonista ad Assad, finanziato ed armato oramai esplicitamente dall’occidente e dai Paesi arabi sunniti filo–occidentali, altro non è che un pugno di mercenari improvvisati, senza guide, con poca esperienza e decisamente allo sbando, che va a rapire uomini della stampa a loro vicini.

Un segnale di forza, che invece fa intuire al mondo intero la cruda realtà dei fatti, che dimostra l’impreparazione politico–militare di quegli uomini che l’occidente vorrebbe far passare come “liberatori” di Damasco. Sembra che se ne siano accorti anche gli stessi “ribelli” del madornale e grossolano errore compiuto ed in un comunicato, si apprende come i quattro giornalisti stanno bene ed a breve verranno fatti transitare in Turchia, da dove poi potranno tornare nelle proprie case.

Un rapimento dunque, che sembra avviarsi a conclusione con una rapidità e facilità che fa ben intuire i motivi di questo imminente rilascio; la Farnesina ovviamente è cauta e non conferma, viste proprio le esperienze in Iraq, vuole evitare di dare comunicazioni ancor prima della risoluzione della vicenda.

Sul campo intanto, la situazione è in una fase di stallo, con i “ribelli” tenuti in vita dagli aiuti internazionali, ma che non riescono ad avanzare ed anzi rischiano di indietreggiare pesantemente sotto i colpi dell’esercito regolare, il quale detiene il controllo dell’80% del territorio siriano.

Da Damasco, Bashar al-Assad ha concesso un’intervista ad una tv russa, affermando come non c’è alcun problema di sicurezza né per la propria incolumità personale, né per la tenuta del suo regime: “Vi sto parlando dal mio palazzo presidenziale – fa notare al giornalista – e non da un bunker, né dall’Iran. Sono qui al mio posto, dove sono nato e sono cresciuto”.

Una guerra quindi, che sembra non dare pace e non trovare soluzione immediata, visto l’appoggio esterno dato in gran misura alla galassia di oppositori che però difficilmente riescono ad organizzarsi ed a sfondare le linee nemiche.

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