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Regno Unito: duemila sterline ad ogni migrante che lascia il Paese

Theresa May, responsabile per l’immigrazione prima di assumere la carica di primo ministro, si trova ora ad affrontare una colossale crisi migratoria nel Regno Unito, sottoposta a crescenti pressioni per riportare la situazione sotto controllo.

migrantiConsiderato il livello delle domande di asilo più alto degli ultimi 12 anni, per ridurre il numero degli immigrati clandestini, il Governo britannico ha scelto di dare duemila sterline ad ogni migrante che lascia spontaneamente il Paese. Il Ministero degli Interni ha confermato questi “rimpatri assistiti” con un volo di ritorno pagato dai contribuenti britannici. Un aiuto – secondo il Governo – per coloro che ritornano nel loro Paese d’origine, per “trovare un posto dove vivere, un lavoro, o avviare un’attività”.  Inoltre “Le persone che non hanno diritto di essere nel Regno Unito dovrebbero tornare nel loro Paese d’origine, ed è molto meglio se lo fanno volontariamente e alla prima occasione. I rimpatri forzati costano al contribuente diverse migliaia di sterline, mentre aiutando coloro che partono volontariamente costa molto meno”.

Secondo gli ultimi dati, il numero delle richieste d’asilo lo scorso anno ha avuto un salto del 41 per cento, con un’affluenza di migranti provenienti da Iraq, Pakistan, Eritrea, Afghanistan e Siria. La maggior parte delle domande di asilo sono comunque presentate da persone già presenti nel Paese, che hanno superato il controllo delle frontiere, come ha confermato il Governo.

Inoltre ha inciso sul numero dei migranti un aumento del 17 per cento dei visti familiari, il che significa altri 47mila cittadini extracomunitari a lungo termine nel Regno Unito che raggiungono  parenti a cui era stato già concesso permesso di soggiorno. Mentre fino al marzo del 2016, l’Ufficio delle Statistiche nazionali stima che ci sono stati 71mila extracomunitari immigrati a lungo termine per lavoro, con un incremento del 9 per cento rispetto ai 12 mesi precedenti.

In tutto il Paese ogni giorno migliaia di persone affollano in coda i centri di immigrazione per un appuntamento. Uno dei centri più attivi è Becket House su St Thomas Street a due passi dalla stazione di London Bridge. Sia clandestini che immigrati con visti validi sono costretti a stare in coda per ore in file lunghe centinaia di metri per parlare col personale addetto ai controlli.

I centri di detenzione o i luoghi di lavoro sono tappezzati di informazioni che incoraggiano gli immigrati clandestini a fare domanda per i voli gratuiti nei loro Paesi d’origine. E contro la politica sull’immigrazione del Primo ministro si scagliano i falchi anti-invasione ben radicati nel Regno Unito.

Così l’europarlamentare dell’Ukip, Mike Hookem, considera il pagamento di duemila sterline agli immigrati un calcio nei denti per tutte le famiglie che in questo Paese lavorano duro lottando per sbarcare il lunario. E parla del ministro degli Interni che “continua a mettere il benessere degli immigrati clandestini al di sopra di famiglie che sono legalmente nel diritto di utilizzare lo stato sociale”. E parla del denaro mandato all’estero in aiuti “gran parte del quale viene lasciato al caso e dato alle organizzazioni corrotte, mentre gli enti locali sono costretti a tagliare i servizi, e il servizio sanitario non può pagare le medicine alle vittime di cancro perché il denaro dei contribuenti viene distribuito alle persone che hanno violato la legge nel Regno Unito.

Ma sono soprattutto i boss del business, l’imprenditorialità britannica a farsi sentire contro gli immigrati, e la riforma sull’immigrazione, cara alla May, parte fondamentale della sua strategia della Brexit. E’ la voce dell’Institute of Directors (IoD), un’organizzazione aziendale per dirigenti d’azienda, imprenditori senior ed investitori, l’organizzazione più longeva del Regno Unito per professionisti leader, fondata nel 1903. Al governo di Theresa May, perentorio è il messaggio dello IoD sui media britannici la scorsa settimana: “Ridurre l’immigrazione è illogico, l’immigrazione deve essere fermata!”.

“Ora è il momento di tabula rasa in materia di immigrazione e di ripartire con un nuovo piano che tenga conto del suo impatto sulle imprese, sui servizi pubblici e sulla più ampia economia del Regno Unito. Il voto di lasciare l’Ue è stato un chiaro segnale di insoddisfazione pubblica con lo status quo e questo non dovrebbe essere ignorato, ma deve essere affrontata in un modo che non sia dannoso per le prospettive future della Gran Bretagna”.

Ma non erano stati gli immigrati a salvare la pensione della Regina Elisabetta e di tutta la Corona, versando 22 miliardi di sterline in più di ciò che hanno ricevuto tra il 2000 e il 2011? Almeno queste erano le conclusioni dello studio del professor Christian Dustmann nel 2014, “The fiscal effects of immigration to the UK” condotto dal docente dell’University College London e pubblicato sull’Economic Journal. Ma forse si era prima del Brexit.

di Cristina Amoroso

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