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I venti di guerra Usa soffiano forte in Sicilia

Quando gli adulti giocano alla guerra, i bambini non si divertono. E nemmeno le loro madri e coloro che preferirebbero che i governi ricomponessero le loro controversie per via di giustizia senza trascinarle per quella delle armi. 

Sicilia - Porto di Augusta
Sicilia – Porto di Augusta

I venti di guerra che si levano dal Medio Oriente e che in questi giorni sembrano puntare verso la Corea del Nord, soffieranno forte anche in Sicilia. Le avventure imperialiste degli Stati Uniti si riforniscono nelle diverse basi militari disseminate per tutto lo stivale e rischiano di trasformare in obiettivi sensibili diverse città italiane.

Si vis pacem para bellum, ve lo ricordate? E preparare la guerra è quello che gli americani hanno fatto dalla fine del secondo e forse non ultimo conflitto mondiale. Lo hanno fatto imponendo al nostro Paese di “tollerare” la presenza di giacimenti e depositi di armi in diverse regioni italiane. Hanno ritagliato porzioni d’Italia dove il nostro diritto abdica alle leggi militari dei nostri più prepotenti alleati, sottraendoci interi territori per piegarli alla loro mania di dominio, in cambio di poco e a rischio della vita. La nostra, beninteso.

Dev’essere stata una conversione sulla via di Damasco quella del neo-presidente Trump, che, dopo aver sostenuto per tutta la campagna elettorale che il suo Paese non si deve interessare degli affari interni degli altri Stati e che in Siria la priorità resta la lotta al fantasma terrorismo, lo stesso che ultimamente sventola la bandiera dell’Isis, dopo le tante sventolate prima, notte tempo si è deciso a una dura rappresaglia con il preteso, ma ancora non provato, uso di armi chimiche da parte del governo di Assad.

Dalla sua ha invocato una convenzione del 1997, sottoscritta anche dalla Siria, che pone il divieto di adoperare simili armi in qualsivoglia tipo di conflitto. Poi certo, i diritti umani tanto cari allo zio Sam, soprattutto quando si invocano per giustificare l’intervento armato di qualche stato sovrano. Fight fire with fire o più semplicemente bombardamenti intensivi per amore della pace.

E la nostra amata Trinacria, questo triangolo d’isola nel cuore del Mediterraneo, che ruolo gioca nell’interventismo molto acrobata degli americani? Quello del palo parrebbe il più somigliante.

La base Muos, costruita a ridosso dalle prime abitazioni del Comune di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, ne è la prova più evidente. Quelle tetre antenne, mausoleo della nostra sudditanza psicologica oltre che economica alle fantasie di dominio degli Usa, svolgono proprio il ruolo di sentinella spiona. Sono lo strumento utilizzato per monitorare le attività nemiche e, in tempo di noiosa pace, quelle dei cittadini ignari le cui conversazioni scivolano dentro all’imbuto impiccione dei radar Muos. Ne sa qualcosa il fu Cavaliere Berlusconi, dietro alle cui intercettazioni, a detta di Wikileaks, ci sono proprio le antenne in suolo siciliano.

Ma non siamo solo gli ignari pali delle imprese belliche a stelle e strisce, noi abbiamo anche il privilegio di poterci sentire parte integrante e propulsiva delle scorribande armate in terre straniere.

Il pesante attacco missilistico del 7 Aprile scorso, portato a termine dalle cacciatorpediniere Uss Ross e Uss Porter della marina militare americana, si è rifornito di carburante e munizioni proprio ad Augusta, in provincia di Siracusa. I ben informati non ne hanno dubbi: è molto probabile che il carico di missili Tomahawk sia stato fatto nel porto di Augusta, attingendo al ricco deposito di Cava Sorciaro, in territorio Melilli. Lo stesso arsenale che riforniva e continua a rifornire tutte le principali operazioni di guerra statunitensi. Si parte dall’operazione “Desert Storm” della prima guerra del Golfo, per arrivare fino all’ultima “scampagnata” imperialista in Libia del 2011.

Sono gli stessi report della Us Navy a tracciare la scia e a permetterci di ripercorrere il sentiero di guerra attraverso cui si muovono le armi che poi stroncano le vite di migliaia di civili in ogni parte del mondo. La Uss Ross, una delle due cacciatorpediniere che hanno dato prova di grande valore nello scorso bombardamento contro la base di Al-Shayrat, era approdata ad Augusta lo scorso 19 Luglio per rifornirsi di munizioni prima di muovere verso il Mar Nero per quell’allegra parata annuale che è l’esercitazione di guerra Nato, in funzione anti-russa, e denominata romanticamente “Black Sea Breeze”.

I nomi che vengono scelti per mascherare o minimizzare la portata delle atrocità delle guerre moderne dovrebbe farci riflettere sull’importanza delle parole. Sea breeze significa brezza marina, venticello che viene dal mare. Le missioni di pace, già di per sé una contraddizione in termini, sono state portate a termine con i famigerati missili Tomahawk. Si tratta di “missili da crociera” come vengono catalogati, il cui significato è da ricercare nell’antica lingua dei pellerossa e sta a indicare l’ascia di guerra, quella stessa che sarebbe più prudente sotterrare invece di brandire con tanta violenza, quando ciò che si ha realmente a cuore è il sentiero di pace.

La Sicilia è dunque una catapulta, un trampolino bellico in mano agli Usa, il box sempre pronto al pit stop dell’esercito americano. Noi siamo l’autogrill dove rifocillarsi tra una scorribanda e l’altra, la meta di passaggio obbligata di miglia di munizioni e armamenti destinati alle grandi manovre dei nostri ingombranti alleati.

Davvero ci possiamo dire sorpresi di essere già ora un bersaglio strategico per i nemici dei nostri gentili ospiti? Quanto salato è il conto che ci stanno addebitando? E il tributo in vite che ci toccherà versare e che abbiamo già iniziato a pagare? Non mi riferisco solo alle vittime di possibili ritorsioni terroristiche sulle nostre città, quanto a quelle centinaia di persone che si ammalano e che muoiono per i tumori e gli altri mali prodotti dal Muos.

Tra qualche mese si procederà al rinnovo del Parlamento Siciliano. Forse, oltre a dividersi sul nulla, a dichiararsi pro o contro alle magagne della nostra politica locale e nazionale, sarebbe il caso di cominciare a eleggere cittadini che abbiano ben chiaro che il futuro di quest’isola dipende anche dalla presenza in Sicilia di un esercito straniero, che con il pretesto di proteggerci, ci sta esponendo a rischi che nessuno di noi ha mai dichiarato di voler correre.

Forse è il caso di affrancare la nostra terra dalla prepotenza del nostro “amico” americano. Nostro alleato sulla carta, nostro pericolo per terra e per mare.

di Adelaide Conti

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