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Diga di Orowille: ambiente ad un punto di non ritorno

Gli abitanti di otto città a nord della California, negli Stati Uniti, vivono momenti di grande tensione per il rischio del crollo di una diga. La diga di Orowille si trova a nord di Sacramento ed è la più alta degli Usa (circa 234 metri). Costruita tra il 1962 e il 1968, oggi rischia il collasso a causa delle forti piogge e delle nevicate delle ultime settimane. A fare scattare l’allarme la fuoriuscita dallo sfioratore d’emergenza di un forte flusso di acqua. Ora la perdita è ferma, ma la situazione rimane critica.

diga di OrowilleDopo quattro anni di siccità si è scoperto che le diga presenta dei problemi strutturali. Se l’opera idraulica di sbarramento dovesse cedere potrebbe causare un’inondazione immane lungo le rive del fiume Feather. La situazione viene monitorata costantemente da giorni. Lunedì 13 febbraio, un comunicato dello sceriffo della contea di Butte ordina lo sgombero a più di 188 mila persone, precisando che non si tratta di un’esercitazione. In un primo momento si è temuto che la diga potesse cedere entro poche ore, dopodiché il Dipartimento per le risorse idriche della California ha tranquillizzato i cittadini facendo sapere che l’allarme immediato è rientrato. Rimangono tuttavia in vigore gli ordini di evacuazione e lo saranno fino a quando non si disporrà di maggiori informazioni sullo stato della diga. Jerry Brown, governatore della California, ha dichiarato lo stato d’emergenza in tre contee dello Stato: Butte, Sutter e Yuba.

La situazione è precipitata dopo che nelle ultime settimane il livello dell’acqua nell’invaso della diga è salito notevolmente a causa delle abbondanti precipitazioni.
Spostandoci nel luogo in cui tutti i meridiani convergono, ovvero al Polo Sud, un maki-iceberg (la cui area corrisponde a quella delle Liguria) è pronta a staccarsi dall’Antartide. La spaccatura in corso sulla piattaforma di ghiaccio Larsen C si sta progressivamente ampliando. La sua profondità è stimata in circa mezzo chilometro. La spaccatura interessa uno dei dieci più grandi iceber mai registrati. Da dicembre lo scollamento è aumentato improvvisamente e ora solo una striscia di 20 km di ghiaccio trattiene questo ciclope di ghiaccio: un blocco di 5 mila km quadrati.
Le cause di tutto ciò? Con molta probabilità sono da ricercare negli effetti del riscaldamento globale. Secondo i ricercatori dell’Università di Swansea, che si occupano di monitorare la situazione, la perdita di un iceberg di queste proporzioni danneggerà irrimediabilmente l’habitat glaciale. Per la Larson C, che galleggia sui mari dell’Antartide occidentale, non si tratterebbe della prima perdita di un maxi-iceberg. Altri due eventi simili si sono verificati nel 1995 e nel 2002 nella piattaforma Larson B.
Queste due situazioni limite ci danno in qualche modo la misura di come i problemi legati agli squilibri ambientali siano oltremodo variegati e presentino un rischio sempre maggiore per l’uomo. Gli effetti del riscaldamento della terra si fanno sentire, anche se al momento sono teoricamente controllabili. Ma per quanto ancora?
Ipotizziamo per un attimo che la temperatura terrestre aumenti ancora è tocchi i due gradi. Ecco quello che accadrebbe: la Groenlandia inizia a sciogliersi. Si tratta di una gigantesca isola di oltre due milioni di chilometri quadrati, che per l’83% è ricoperta di ghiaccio. Lo scioglimento di tutta quella massa di ghiaccio è certamente anomalo e va ad unirsi alle acque dell’oceano, modificando il loro grado di salinità e apportando una quantità troppo alta di anidride carbonica. Gli effetti? Di fatto, gli oceani diventano più acidi, senza contare che alcune correnti oceaniche potrebbero risentirne. Basti pensare alla Corrente del Golfo che permette un clima temperato alla nostra Europa. Ma non è tutto.
Senza i ghiacci gli orsi polari sono destinati ad estinguersi (già oggi sono ad alto rischio di scomparsa). L’enorme quantità di acqua in più porta a sommergere gran parte degli arcipelaghi e, con essi, spariscono le principali barriere coralline, che offrono riparo e vita a innumerevoli specie animali.
Per capire meglio la portata di questi eventi: se i ghiacciai della Groenlandia finiscono completamente nell’oceano, il livello delle acque potrebbe aumentare di oltre 7 metri e città costiere come Londra e Shanghai finirebbero sommerse.
Gli scenari appena descritti non sono opera di fantasia ma le conseguenze reali di ciò che potrà avvenire da qui a qualche decennio.
Gli scienziati lanciano un grido d’allarme e ricordano che superando i fatidici due °C si arriverà ad un punto di non ritorno.
Cosa stanno facendo i Paesi per contrastare il cambiamento climatico globale? Poco, verrebbe da dire. Se poi ci mettiamo che il neo presidente degli Stati Uniti contesta la teoria – scientificamente comprovata – del global warming, ci rendiamo conto in che mani è affidata la nostra Terra. Per Trump infatti quella del climate change è:” Una stronzata che deve essere fermata, il pianeta sta congelando, le temperature non sono ai minimi storici”. Queste le sue ultime dichiarazioni.
A fonte di una colpevole incuria dell’uomo, per la serie “non è ancora (forse) troppo tardi”, qualcosa si può ancora fare, qualche ripensamento virtuoso può prendere corpo, sotto forma di risvegliata consapevolezza. Ma si sa, l’uomo per sua stessa natura dà il meglio quando l’emergenza impone l’urgenza. Si attende l’evento drammatico per poi cercare soluzioni che abbiano lo scopo di risolvere il problema al momento. Nulla di concreto che ponga le basi per un piano a lungo termine che abbia come obiettivo l’armonizzazione delle politiche ambientali di tutti gli Stati. Si assiste invece ad un’infinità di accordi, promesse e reiterate dichiarazioni di intenti, va da sé nobili, che però rimangono puntualmente lettera morta.
Il mondo ha un problema con l’ambiente? Certamente sì. Non vogliamo occuparcene? Bene, poi però ci toccherà spiegare ai nostri figli il perché di tanto egoismo. Altra impresa dalla risultato non scontato.
di Adelaide Conti 
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