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Colombia, una speranza per i bambini soldato

di Cinzia Palmacci

“Me ne andai con loro quando avevo 13 anni, ed entrai nel 24° fronte delle Farc. Mi portarono al loro accampamento e mi diedero di tutto. Furono la mia famiglia”. La testimonianza è di Betty, una degli 11mila bambini-soldato che combattono in Colombia, nelle file della guerriglia (Farc e Eln) o dei paramilitari, che insieme a quella di altri 112 piccoli soldati tra i 7 e i 18 anni, è stata raccolta da Human Rights Watch (Hrw) e pubblicata, con nomi di fantasia, in un report uscito a settembre: il primo di questo genere. Le dimensioni del fenomeno sono paragonabili solo a quelle della Birmania (Myanmar) e della Repubblica Democratica del Congo. In Colombia anzi, è probabile che il numero dei bambini-soldato sia addirittura maggiore, perché le cifre del fenomeno non sono certe.

Le cifre del fenomeno: uno su quattro “combattenti irregolari colombiani” (guerriglia o paramilitari) ha meno di 18 anni. La maggior parte, addirittura, ne ha meno di 15. Spetta alle Farc (esercito di ispirazione marxista) e l’Eln (esercito per la liberazione nazionale) il record per utilizzo di adolescenti in guerra: l’ottanta per cento degli 11mila piccoli soldati sta nelle loro fila. Solo il 20 per cento è in mano dei paramilitari. L’arruolamento, in genere, è volontario: è un modo come un altro per sopravvivere. La guerriglia non da salario. I paramilitari, invece, pagano dai 300 ai 400 dollari a trimestre, più “incentivi” per “missioni speciali”. Spesso il reclutamento è forzato. Così è accaduto a Johana, 12 anni, prelevata dalle Farc nel dicembre del 2000, nel dipartimento di Putumayo: “Mi presero per strada -racconta- mi misero in un furgone e mi portarono all’accampamento. Dissero che stavano reclutando guerriglieri. Insieme a me, infatti, avevano catturato altri 4 ragazzi. Gridai che me ne volevo andare. Piangevo. Dopo due mesi la mia famiglia riuscì a trovarmi e venne all’accampamento. Mi fecero parlare con i miei genitori, ma sotto sorveglianza di altri guerriglieri. Ma non mi lasciarono tornare con loro”.

La famiglia, appunto: i rapporti con genitori o parenti, quando ci sono, vengono completamente spezzati. Solo in qualche caso restano contatti sporadici. Più di un quarto dei piccoli soldati delle Farc sono bambine. Tra i paramilitari, invece, la loro presenza è più sporadica. Farc e Eln hanno una disciplina rigida, condannano la violenza sessuale e assegnano gli stessi ruoli a uomini e donne. Ma sono molti i comandanti che usano il loro potere per intrecciare relazioni sessuali con le adolescenti. Non a caso, a partire dai 12 anni, viene loro imposto di utilizzare anticoncezionali e di abortire se restano incinte. Una via senza uscita, insomma, visto che molte delle bambine che si incorporano alla guerriglia, lo fanno proprio per sfuggire a situazioni di violenza sessuale in casa. Una volta nel gruppo, inizia l’allenamento alla guerra. Si impara a maneggiare armi automatiche, granate, mortai, esplosivi, a lanciare bombe e cilindri di gas. Sia nella guerriglia che tra i paramilitari, gli adolescenti apprendono a conoscere le mine antiuomo e a disseminarle nei campi. Nelle Farc, il fuggitivo viene sottoposto al consiglio di guerra che deciderà della sua sorte. Ma il voto è una semplice pro forma, perchè opporsi ad una esecuzione significa rischiare di essere uccisi a propria volta. In Colombia, l’utilizzo di bambini soldato non si limita agli 11mila delle forze ‘irregolari’. Benchè una legge lo proibisca, nel ’99, l’esercito colombiano raccolse nelle sue fila 800 minori di 18 anni. E di recente, Human Rights Watch ha reso noto che polizia ed esercito si servono di bambini come spie e informatori. Il tutto avviene nonostante nel ’91, il Paese abbia firmato la Convenzione dei Diritti del Bambino dell’Onu.

Farc sulla via di un accordo per la liberazione dei bambini-soldato   

E’ notizia recente quella che parla di un accordo tra il governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), per la liberazione di minori sotto i 15 anni dagli accampamenti del gruppo armato. Il patto prevede lo sviluppo di un piano per la graduale smobilitazione dei minori di 18 anni che fanno parte dei ranghi delle Farc e di un programma per il reinserimento nella società civile di tutti i minori e gli adolescenti che lasceranno la guerriglia, secondo una dichiarazione congiunta inviata alla stampa. Il negoziatore delle Farc, Ivan Marquez, ha riferito che al momento ci sono 21 bambini sotto i 15 anni nei campi della guerriglia. Secondo l’accordo raggiunto dai due schieramenti, sostenuto dall’Unicef, i bambini sotto i 15 anni saranno i primi ad andare via. Per quelli che hanno tra i 15 e i 18 anni le modalità saranno decise entro poco tempo. In totale, questo accordo riguarderà diverse centinaia di ragazzi, tra cui tanti bambini-soldato impegnati in questo conflitto che dura da più di mezzo secolo. Nel corso degli ultimi 17 anni, circa seimila bambini hanno abbandonato la lotta tra le file dei gruppi armati. Tra di loro il 60 per cento proveniva dalle Farc. Ivan Marquez ha assicurato che seguiranno “programmi sociali ed educativi per evitare che si ripeta l’emarginazione sociale che li aveva spinti nei nostri accampamenti”. Una retorica sottile, usata per attribuire la responsabilità di questa situazione esclusivamente alle autorità.

Molte volte annunciata, molte volte rinviata, possiamo considerare la fine delle ostilità imminente? Sulla rivista colombiana Semana, il consigliere giuridico delle Farc, l’avvocato spagnolo Enrique Santiago Romero, si dice ottimista, e ritiene che entro la fine dell’anno ci sarà “una normalizzazione completa della vita politica”. Comunque sia, la notizia è stata celebrata dal fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, l’Unicef, che ha definito l’accordo “un momento storico per i bambini della Colombia”.  Una svolta questa della Colombia che fa ben sperare per altre situazioni simili nel mondo, che vedono coinvolte ancora migliaia di bambini ai quali è stata “rubata” l’infanzia e l’innocenza. Ma tanto si dovrebbe ancora fare per una completa “rieducazione” delle famiglie d’origine, la cui violenza domestica sui bimbi li costringe spesso, per disperazione, a consegnarsi nelle mani dei loro carnefici.    

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