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Belgrado non dimentica i 78 giorni di bombardamenti Nato

Belgrado – Il 24 marzo 1999 la Nato inizia l’operazione Allied Force preannunciata dalle arroganti parole di Bill Clinton: “Se il presidente Milosevic non arriverà alla pace, limiteremo la sua capacità di provocare una guerra”.

È il segno del fallimento delle trattative, dei negoziati e delle strategie diplomatiche per convincere il presidente serbo Slobodan Milosevic a porre fine alla pulizia etnica in Kosovo e alla repressione della popolazione di etnia albanese.

Senza mandato Onu, 24 anni fa, iniziarono gli attacchi aerei dell’Alleanza contro le basi militari, per poi continuare per 78 giorni con i i bombardamenti rivolti anche verso strutture civili. L’ordine arrivò dal Segretario Generale della Nato, Javier Solana.

I bombardieri Nato decollarono anche da quattro basi aeree in Italia e da unità navali nell’Adriatico. La Serbia e il Kosovo si trasformarono in cumuli di morti e macerie; ad essere colpiti sono sia obiettivi militari sia obiettivi civili. Insieme alle basi e alle caserme, colpite case, scuole, ospedali, edifici pubblici e centri culturali.

Secondo i dati del Governo, il bilancio delle vittime è il seguente: almeno 2.500 uccisi, tra civili e militari e più di 12mila feriti, tra le vittime molti bambini. Durante gli attacchi, che proseguirono senza soste per due mesi, vennero danneggiate diverse strutture residenziali, scuole, ospedali, monumenti, chiese, monasteri. Gli attacchi furono sospesi il 10 giugno del 1999 dopo la firma dell’accordo militare tecnico sul ritiro dell’esercito e delle forze di polizia jugoslava dal territorio di Kosovo e Metochia. Secondo i calcoli di alcuni economisti occidentali i danni materiali dei bombardamenti Nato sfiorano i 30 miliardi di dollari.

A guerra conclusa, vennero svelati dal colonnello Francesco Latorre i numeri italiani dell’operazione “Allied Force”: furono precisamente 172 le missioni del Sesto Stormo.

Sindrome dei Balcani

Di uranio impoverito e “sindrome dei Balcani” se ne cominciò a parlare nel 2001, quando iniziarono ad ammalarsi o a morire di cancro militari italiani di ritorno dalle missioni nei Balcani, per non parlare delle bombe Nato che riempirono il Mar Adriatico.

Dramma nel dramma: la catastrofe ambientale del petrolchimico di Pancevo, alla periferia di Belgrado, che non fu un “danno collaterale”(ovvero un incidente di guerra), tanto meno un caso di negligenza criminale (intesa come il risultato di un’indifferenza criminale per le conseguenze). La prova è schiacciante. La Nato fece saltare in aria, intenzionalmente e meticolosamente, container di sostanze chimiche tossiche con l’obiettivo di creare un inferno ecologico.

I raid aerei sul complesso di Pancevo iniziarono il 4 aprile 1999 e continuarono inesorabilmente fino al 7 giugno. Del complesso di Pancevo faceva parte anche una raffineria petrolifera (costruita con supporto tecnico della Texaco) e un impianto per produrre un fertilizzante agricolo chimico. L’impianto petrolchimico venne completamente bombardato (41 bombe e 7 attacchi missilistici). Le aree bombardate si trovavano a meno di 200 metri da abitazioni civili.

Belgrado chiede giustizia

A distanza di 24 anni, una organizzazione non governativa serba chiede alla Nato un risarcimento per il danno inflitto alla Serbia in quei 78 giorni di bombardamenti.

Il Forum di Belgrado World Equals e il Club di generali e ammiragli hanno lanciato l’iniziativa, mentre il generale a riposo Jovo Milanovic ha ricordato che l’aggressione della Nato era “una violazione di tutte le norme di diritto internazionale che ha causato enormi danni materiali alla Jugoslavia ed enormi perdite umane”. I partecipanti alla riunione, sostenendo l’iniziativa di Milanovic, stanno quantificando il compenso e avviando procedimenti penali contro i leader occidentali che hanno concretamente bombardato o sostenuto la decisione di bombardare. Anche l‘Italia è tra i leader occidentali, con le sue 172 missioni del Sesto Stormo!

di Cristina Amoroso

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