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Usa, a proposito di guerra e vendita di armi

di Cristina Amoroso

Lo scorso anno il Presidente Obama è stato il rivenditore numero uno di armi, Last year, President Obama was the number one weapons dealer in the world, è il titolo di un articolo postato recentemente da un sito web indipendente che si rivolge ad un pubblico giovane e socialmente impegnato con 40 milioni di visitatori mensili, in cui il pensiero conservatore è mascherato da un’inclinazione libertaria.

Tra il serio e il faceto l’autore ricorda il primato degli Usa in tante categorie, tra le quali la vendita di armi, che trova ben poca concorrenza, come riporta il New York Times: “La vendita di armi agli stranieri per gli Stati Uniti è aumentata di quasi 10 miliardi di $ nel 2014, circa il 35 per cento, anche se il mercato globale delle armi è rimasto invariato e la concorrenza tra i fornitori è aumentata, secondo un nuovo studio del Congresso. Le entrate per la vendita di armi americane sono salite a $ 362 miliardi nel 2014 da $ 267dell’anno precedente, sostenuta da accordi multi-miliardari di dollari con il Qatar, l’Arabia Saudita e la Corea del Sud. Quelle vendite indicano che gli Stati Uniti sono rimasti il più grande fornitore di armi in tutto il mondo l’anno scorso, controllando poco più del 50 per cento del mercato”.

Il destinatario più fortunato – continua l’autore – della nostra generosità è stata la Corea del Sud, che sta cercando di rinforzare la sua capacità militare dopo una maggiore aggressività da nord. Anche l’Arabia e il Qatar sono tra i compratori. Questi ultimi sono i nostri alleati presunti, ma di recente hanno agito contro i nostri interessi, abbandonando la lotta contro l’Isis per agire da soli nello Yemen e armare i gruppi di “ribelli” siriani che includono gli spudorati salafiti. Sono pure alcuni dei più grandi sostenitori del terrorismo in tutto il mondo, integrati con l’integralismo wahhabita del governo saudita e insieme ai donatori del Golfo riforniscono tutti di denari, dall’Isis ad Al-Qaeda.

Negli ultimi 60 anni l’Arabia Saudita ha costruito uno delle più grandi potenze militari del Medio Oriente grazie alla generosità degli Usa. Il Regno ha fatto accordi sulle armi con Washington tra il 1950 e il 2006 per 80 miliardi di dollari e un ulteriore 90 miliardi è stato approvato dal 2011 sotto la governo del nostro presidente, vincitore del Premio Nobel per la Pace amante del controllo sulle armi.

Considerato anche il carattere della monarchia saudita, arcaica senza alcuna concezione di democrazia e un record abissale di disconoscimento di diritti umani, l’autore si pone retoricamente alcune domande:

Quanto sarebbe difficile imporre divieti di vendita di armi ai Paesi del Golfo fino a quando essi non reprimano il terrorismo e non riprendano la lotta contro lo “Stato Islamico”?

Avremmo bisogno di costringere altre nazioni ad occuparsi dei Sauditi, in particolare la Francia, ma se siamo in grado di applicare sanzioni all’economia iraniana, allora perché non possiamo limitare la vendita di armi all’Arabia Saudita?

Al giovane giornalista che si pone queste domande che sanno di ipocrita retorica in stile retro libertario vorremmo ricordare che il mondo non è in pace. Accanto all’indiscusso primato statunitense, tutto l’Occidente, dall’Italia al Canada, dalla Spagna alla Germania, interviene con le armi nel Sud del mondo per necessità.

Una necessità di guerra che è connaturata al capitalismo ed è inestirpabile dal capitalismo, perché la guerra è funzionale alla ragion d’essere del capitalismo stesso, ossia l’accumulazione di profitto. La guerra è il mezzo per risolvere i contrasti tra imperialismi maturi e nascenti, per l’accaparramento di risorse naturali e nuovi mercati.

La spesa bellica sta aumentando in tutto il mondo, dal Giappone all’Arabia Saudita, fino anche alla Germania, a scapito di quella spesa sociale che dovremmo difendere con i denti, e che vuol dire sanità, pensioni, istruzione, trasporti. E il budget per la difesa sta aumentando anche in quei Paesi, Italia inclusa, in cui da anni si sta ripetendo la fola che i soldi sono finiti e che si devono fare sacrifici laddove i lavoratori stanno rinunciando pressoché inermi a quanto conquistato con fatica.

Dobbiamo fermare le guerre, quelle in atto, quelle appena dichiarate e soprattutto quelle che si stanno preparando. Deve essere la prima istanza di mobilitazione per il prossimo futuro e non solo per la Siria o per lo Yemen ma per l’intera umanità.

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